IL NOSTRO LOGO: TRE FRECCE PIÙ UNA

Confluenti tutte verso il territorio di Gubbio, quella lingua di Umbria che si insinua tra le province marchigiane di Pesaro-Urbino e di Ancona, quattro frecce definiscono la sostanza del discorso comunitario. O, meglio, tre frecce bianche , rispettivamente da sinistra, dal basso e da destra, più una freccia nera, dall’alto. Tre frecce bianche. Cioè fragili. Sottoposte al logorio del tempo e delle mode. Importantissime, ma fragili. Indispensabili e quindi da recuperare ogni giorno, come tutti i valori autenticamente umani, che non possono mai essere dati per scontati.

ACCOGLIENZA

La prima delle tre frecce indica il valore fondante dell’ACCCOGLIENZA: la sua eccelsa dignità di persona dà ad ogni uomo il diritto di venire accolto per quello che è, senza “se” e senza” ma”. Questo vale anche e soprattutto per l’emarginato; egli ha carenze di personalità anche molto pesanti, ma esse in nessun caso intaccano la sua dignità di persona. La persona è un assoluto che non tollera nessun “di più” e nessun “di meno”: nessuno è più persona di un altro. Il bimbo etiope con il suo enorme cranio pelato e il pancino gonfio non è meno persona dei bambini che nella trasmissione “Io canto” deliziano Gerry Scotti e anche noi. Gli antropologi di ispirazione cristiana hanno formulato, in proposito, un principio che ancora non ha “sfondato”: “La vita tanto più è autentica quanto più costa fatica conquistarsela”.

CONDIVISIONE DELLA VITA

La seconda delle tre frecce indica il valore fondante della CONDIVISIONE DELLA VITA. In comunità, handicappati o meno, gestiamo tutto insieme, ovviamente ciascuno secondo le proprie capacità. Condividere è la cosa più importante, perché è il primo di tutti gli scopi che ci motivano ad accogliere la persona in difficoltà; ma le forme che la vita condivisa assume, nella concretezza della vita di colui che ne ha fatto uno degli ideali portanti della proprie esistenza, non solo possono, ma debbono essere diverse. A Capodarco, handicappati e sani, soggetti costretti a vivere in carrozzina ma intelligenti e soggetti deambulanti che parlavano da soli, in passato abbiamo vissuto tutti insieme, sotto lo stesso tetto; questo oggi non è più possibile, soprattutto per chi si è formata una famiglia; ma nella misura in cui è possibile la condivisione concreta, non semplicemente spirituale, o “del cuore”, ma la “condivisione del cesso”, la condivisione di tutta l’umile esistenza quotidiana, anche nei suoi aspetti … maleodoranti, va perseguita come valore sommo; la sua forma più agevole è nella situazione di oggi quella della “condivisione di pianerottolo”: le nostre residenze vanno pensate come dei moduli articolati di un unico progetto abitativo: “accanto” alla residenza che accoglie handicappati, accanto: si apre una porta, e il passeggino del bambino più piccolo è in comunità, e la carrozzina del vecchio paraplegico brontolone è in famiglia; si chiude quella porta, e sia famiglia che comunità recuperano la propria privacy. Così, con questo preciso scopo di integrazione, abbiamo pensato e progettato la nuova sede della CdCdU a Gubbio, e anche (in parte, per quanto è stato possibile) a Perugia: ogni famiglia ha la sua privacy, ma basta aprire un porta e si è subito in comunità.

PROGETTUALITÀ INESAUSTA

La terza delle tre frecce indica il valore fondante della PROGETTUALITÀ INESAUSTA. Sarebbe inutile vivere insieme senza progettare insieme.
Progettare …: che cosa? Intanto il riscatto dell’emarginato con il quale dividiamo l’esistenza.
E poi sempre nuovi orizzonti d’impegno, in questo mondo in cui le mete nobili da recuperare sono tante, tanto difficili e tanto ignorate.
Quando, a proposito del nostro rapporto con loro, parlammo coi Frati Minori, proprietari del Convento di S. Girolamo, la nostra prima sede a Gubbio, essi ci facevano notare che abbiamo un’età diversa: loro quasi ottocento anni, noi poco più di una quarantina. Già. Ma quando Francesco poteva contare solo su quattro o cinque compagni che lo seguivano, le abbazie cistercensi era più di 500, oggi i frati del Poverello hanno dilagato in tutto il mondo, mentre le abbazie cistercensi si contano sulle dita; e S.Galgano da secoli non ha più nemmeno il tetto. Da secoli.
Quando gli Ebrei coevi di Cristo proposero, dopo aver fatto fuori Lui, di distruggere la Comunità cristiana appena nata, il grande rabbino Gamaliele disse: “Lasciamo che le cose facciano il loro corso: se la cosa viene da Dio, sopravviverà”.

L’OLTRE

La quarta freccia, la più importante. Viene dall’alto. Nera, pesante, eppure leggera, leggerissima, invisibile, impalpabile. È l’oltre della comunità Gli uomini hanno sempre saputo che dietro la materialità della loro esistenza c’era un oltre: gli Ebrei l’hanno chiamato ruàh, i Greci pnèuma, i latini spiritus. Su questa linea Gesù di Nazareth ha parato in continuazione dello Spirito del Padre, lo ha promesso ai discepoli, nell’atto di morire sulla croce ne ha fatto partecipi tutti gli uomini, inviandolo a tutti con il suo ultimo respiro. gli uomini. Poi Giovanni, interpretando i progressi della coscienza della Chiesa, dosse che era lui, di persone, Gesù di Nazareth, era lui il logos, il criterio ordinatore di tutta la storia. La nostra comunità è in linea con quello che il logos ha progettato per li nostro tempo? Sembrerebbe di no. La freccia appare quasi impallidita: le comunità di accoglienza dimenticano il carisma sul quale sono nate e diventano comunità terapeutiche. E le comunità sociali diventano cooperative sociali. Grandei cos le operative, ma anche quando si dicono sociali il loro impegno sia appunto sui prestatori di opera, non sui suoi destinatari.