UN’UTOPIA DI ISPIRAZIONE CRISTIANA, MA PLURALISTA

Nel suo fondamento la nostra Comunità è un’utopia, è il sogno della pari dignità di tutti e dell’opportunità, offerta a tutti, di esercitare la propria libertà. Essere liberi vuol dire scegliere da chi lasciarsi condizionare (don Milani): se non trovi qualcosa o qualcuno con cui impegnarti, lasciandoti condizionare da questo qualcosa o da questo qualcuno, la tua libertà rimane un guscio vuoto. Il sogno che condividiamo con tanta altra gente è quello di una grande famiglia umana formata da persone cosciente responsabili, che sanno da chi lasciarsi condizionare per far crescere la propria umanità e quella di tutti.
Il sogno di una vita in cui nessuno venga emarginato, ma ad ognuno venga sempre riconosciuto il suo protagonismo, per il bene di tutti.
Ogni utopia è un ου τόπος, un non luogo: il sogno è irrealizzabile nella sua interezza, è irraggiungibile nella sua sostanza; sì, ma la vita di chi non smette mai di inseguirla ne esce segnata, arricchita, dilatata, perché (dice Edouardo Galeano) l’utopia ti impedisce di stare fermo, ti fa muovere in continuazione: tu ti avvicini, ed essa arretra, tu ti allontani ed essa si avvicina.

Un’utopia

Oggi sono in molti a lamentare la povertà di valori del nostro mondo, ma in pochi si rendono conto che il valore maggiormente svalutato è il sogno. Sogno, desiderio, tensione in avanti, serena inquietudine di un uomo che si sente troppo poco uomo. L’utopia. L’isola che non c’è. Non per nulla l’ha teorizzata un cristiano grande e coerente fino al martirio, S. Thomas Moore.
Oggi chi coltiva l’utopia passa per un imbecille, o per lo meno per un inconcludente.
Pensate alla proposta che Bush ha lanciato al mondo il giorno del suo insediamento alla Casa Bianca: Costruiamo un solida società di proprietari, ha detto; non “di cittadini”, tanto meno “di persone”, no: una società di proprietari. Bush come Mazzarò, il protagonista della novella La roba, di Giovanni Verga. Per Mazzarò la proprietà era il fondamento del diritto alla vita; e quando, gravemente malato, gli passava dinnanzi un ragazzotto che, scalzo e mezzo nudo, divorava una filetta di pane e cipolla, Mazzarò gli tirava il bastone borbottando: “Guarda chi deve vivere in piena salute!! Chi non ha la roba!”.
E invece molte tra le realtà più solide esistenti al mondo si basano sull’utopia.
Prima fra tutti le Chiesa, che si regge grazie a quegli inguaribili utopisti che sono i Santi, che hanno preso sul serio quell’incredibile obiettivo utopico che Cristo propone a tutti: Siate perfetti come è perfetto il Padre che è nei cieli.
Attention, please
! I Santi della nostra tradizione cristiana, l’utopia evangelica del Siate perfetti come è perfetto il Padre che è nei cieli, l’hanno perseguita per tutta la vita, ma non l’hanno mai raggiunta, anzi la vedevano sempre più lontana, e si sentivano “grandi peccatori”; ma non hanno mai rinunciato a perseguirla, ed è questo ha fatto di loro dei Santi.

Qualche volta ti verrebbe fatto i dire: ma, Signore mio, non potevi mettere l’asticella più in basso? Saremmo tutti riusciti a saltare!
Ma l’importante non è superare l’asticella, ma provare a superarla, e riprovare, e riprovare, all’infinito.
Vorrà dire che l’utopia della CdCdU sarà quella di tentare e ritentare ogni giorno di contribuire alla crescita di tutta la società non con i sospiri e le lamentele, ma attraverso il coinvolgimento di tutta la nostra vita con gli emarginati.

Un’utopia ispirata all’antropologia evangelica

n negativo, la CdCdU non è un’associazione cattolica, ma un’associazione d’ispirazione cristiana.
La questione si pose prima del 1974, l’anno in cui Capodarco s’insediò a Gubbio, partendo dalla Comunità La Buona Novella di Fabriano per diventare il Centro Lavoro Cultura nel convento di S. Girolamo, sul monte Ansciano.
Il Vescovo Pagani, nel 1973, in una folta Assemblea del Clero eugubino, dopo aver letto le quattro condizioni che Paolo VI aveva fissato a che un’associazione potesse dirsi cattolica, chiese a don Angelo se la sua comunità poteva definirsi tale; e don Angelo disse di no; per questo, anche se l’ultimo articolo dello statuto della CdCdU prevede un Assistente Ecclesiastico, il Vescovo Bottaccioli ne ha sempre sostenuto l’infondatezza e si è sempre rifiutato di nominarlo.
In positivo, la CdCdU è un’associazione di ispirazione cristiana nel senso essa si ispira a quella figura ideale di uomo disegnato dall’antropologia evangelica.
Il Signore Gesù a beneficio d tutti gli uomini ha ridefinito l’uomo e la vita.
Per questo l’antropologia evangelica ha due pilastri fondamentali: la persona come assoluto e la vita come dono.

Secondo il Vangelo l’uomo è persona. La persona come assoluto.

L’umanesimo cristiano pensa l’uomo come persona; e la Chiesa, nella Gaudium et spes, che dedica il primo capitolo della sua prima parte alla dignità della persona umana, al n.76 si autodefinisce come il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana. Vale a dire: la Chiesa è, per sua natura, immagine, segno che comunica e tutela la dignità trascendente della persona umana. La dignità dell’uomo è dentro lo statuto stesso della Chiesa, al punto da poter dire che il destino della Chiesa è inscindibilmente legato al destino dell’uomo. Per la Chiesa difendere l’uomo, la sua dignità, i suoi diritti, sia a livello personale che familiare e sociale, fino ad includere i diritti dei popoli, è difendere se stessa. Là dove è calpestata la dignità dell’uomo, è tutta la Chiesa a subire una ferita. Ma è vero anche l’affermazione reciproca: l’uomo, con la sua trascendente dignità personale, è il compendio della Chiesa universale; in lui è presente la ragione stessa dell’esistenza della Chiesa e della sua missione. Senza l’uomo non si dà Chiesa, senza Chiesa non si comprende e non si custodisce in tutta la sua ricchezza la dignità della persona umana.
L’essere persona fa sì che l’uomo non possa essere considerato come una semplice parte della natura o un frammento della storia; rende inadeguata una lettura dell’uomo in chiave funzionale, cioè solo come soggetto che si definisce per le cose che fa. No: l’uomo va letto innanzitutto in relazione ad un punto omega che è al di là, che trascende l’orizzonte del finito e si colloca nel’infinito, titolare di una dignità che gli viene da quel punto omega del quale la fede dice che è anche il punto alfa, e che chiama Dio; Giovanni Paolo II: “La trascendenza è l’altro nome di persona» .
Tutto questo comporta essenzialmente due cose.
Innanzitutto che l’uomo-persona è il fine dell’agire di Dio creatore, che cioè è stato voluto da Dio per se stesso, e nell’opera della creazione e della redenzione egli mai potrà essere derubricato a mezzo, a strumento dell’opera del creatore e del redentore; il Dio della Bibbia, ben prima che come creatore, si pone come complice dell’uomo.
In secondo luogo tutto questo comporta che l’uomo-persona è mistero, un essere che ha bisogno di essere svelato.

La vita come dono.

Secondo il Vangelo la vita autentica è un bene apparentemente paradossale, che si realizza nella misura in cui ci si dimentica di essa, e cresce nelle misura in cui viene sperperata donandola agli altri. Chi entra in comunità non per bisogno ma per scelta deve essere convinto di questo. Anche chi, entrato in comunità per puro bisogno, giunge alla soglia della scelta deve essere convinto di questo.
Questa antropologia nasce dalla fede cristiana. La fede cristiana, come ogni altra fede religiosa, non la si può imporre a nessuno, ma l’adesione al concetto di uomo che storicamente è nato dalla fede cristiana è assolutamente essenziale per chi intende appartenere alla nostra Comunità come socio.

L’esaltante lettura di don Molari

Nel 1984, subito dopo la morte angosciosa ed esaltante di M. Teresa Palazzi (“Mariolina”), che a S. Girolamo si era lasciata morire quando aveva saputo che le sue condizioni fisiche non le avrebbero mai permesso di diventare madre, il CNCA (Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza) tenne a Torino il suo primo convegno, sul tema Condivisione e marginalità.
Bellissimo. Eravamo più di 800, sotto un tendone preso in affitto da don Ciotti, al Parco della Pellerina. Da tutta Italia. Da Gubbio eravamo una decina.
La radice evangelica della nostra utopia ci apparve in tutta la sua grandezza.
Sentite cosa ci disse un teologo:
Il destino degli emarginati e dei poveri è quello di essere sempre assenti là dove si decide del loro futuro. Ma la loro missione è quella di vivere in modo tale da rivoluzionare le situazioni di male causate dal peccato e di indicare le vie attraverso le quali la Vita si apre faticosamente il cammino nella storia degli uomini. Essi diventano così il luogo privilegiato dove la storia delinea il destino di tutti gli uomini e formula le decisioni da prendere per il futuro dell’umanità.
Ma perché ciò avvenga è necessario che gli emarginati, i sofferenti, i dannati dagli uomini non siano lasciati al loro destino. E’ necessario che altri fratelli si uniscano a loro per accogliere le parole che attraverso di essi il Verbo continua a sussurrare agli uomini e per esprimere l’amore liberatore che Dio ha per loro.
Poiché l’amore di Dio non può manifestarsi sulla terra se non attraverso gesti amorosi di uomini, solo se gli emarginati saranno circondati dall’oblatività dei fratelli potranno costituire luogo salvifico. La loro condizione diventerà esplosione di forza nuova per l’umanità intera.
Quando Gesù moriva sulla croce, fuori della città, ai margini di una festa pasquale, si compiva un delitto, un’ingiustizia si consumava.
Ma Gesù seppe vivere in un modo così coerente la sua dannazione, da fare di un delitto degli uomini una riserva di grazia da parte di Dio. Un omicidio divenne un evento salvifico.
Non c’era che poca gente a condividere quella tragedia. Ma fu quella condivisione che germinò una nuova umanità.
Non è senza significato che tra quella poca gente ci fosse anche sua Madre.
Gli aveva insegnato ad amare, avvolgendolo di oblatività, e il figlio “imparò da ciò che soffrì l’obbedienza” (Lettera agli Ebrei 5, 8). Gli aveva insegnato a morire, dato che ogni gesto di amore è apprendimento dell’offerta radicale che un giorno la morte chiede ad ogni uomo.
Sotto la croce completò la sua maternità con l’ultimo gesto della sua condivisione oblativa. Gli insegnò a morire fino all’ultimo respiro. E Gesù si consegnò al punto da “essere costituito da Dio Messia e Signore” (cfr. Atti 2, 36).
La croce era ai margini della città, e divenne una frontiera per l’umanità intera.
La frontiera è sempre marginale. Ma essa è l’unico luogo dove il futuro si introduce nella storia: essa è il centro dove s’inventa la vita.
La storia nuova non nasce certo dove si scrivono le leggi, né dove i potenti programmano la spartizione dei beni della terra.
La storia nuova nasce dove si sprigionano le forze sotterranee della vita, dove esplodono le invenzioni dello Spirito. Là dove il margine diventa frontiera. 

Il teologo che ci disse queste cose si chiama don Carlo Molari (foto da prendere in internet, don Carlo Molari, Incontri di fine settimana)
RITAGLIATE QUESTO BRANO! INCORNICIATELO! RILEGGETELO OGNI TANTO!

NIHIL NOVI SUB SOLE

Cose talmente belle da sembrare nuove: E non lo sono, o per lo meno non dovrebbero esserlo per noi Eugubini, che ci proclamiamo (a cura dell’Azienda di Promozione Turistica) “la seconda città francescana”, e viviamo quattro passi da Assisi, la patria del più grande utopista della storia, quel Francesco che non ha mai smesso di sognare una società perfetta e una chiesa perfetta, ma ha saputo accettare l’una e l’altra così come erano. L sia figura è stata storpiata prima dal Paul Sabatier, che ne ha fatto un “poverello” che passeggiava per la colline umbre predicando agli uccelli, poi da Dario fo, che l’ha ridotto ad un pacifista moderno: ambedue hanno dimenticato che l’asse portane della vita del grande Francesco fu la duplice tensione utopica: sul piano ideale, a vivere il Vangelo sine glossa (senza commenti) e, sul piano della vita quotidiana, a vivere sicut alii pauperes, “come i poveri del suo tempo”: quando, a Bologna visitò alcuni suoi Frati che studiavano in quella università e vivevano in un casa di pietra quando tutte nel quartiere erano in legno, salì sul tetto e cominciò a buttare via le tegole … : lo fermarono, i “pazzi” incontrano sempre qualcuno che li ferma. Sul piano concreto anche noi vorremmo vivere come vivono quei particolari poveri che sono i disabili, e lo facciamo, ma con mille furbizie e mille riserve mentali. Oh! Se potessimo contare ogni giorno sulla prima parte dell’Utopia di Francesco, quella presa diretta con il Vangelo che ci manca tanto!