IL SUO VOLTO, IL VOLTO DI TUTTI

Come logo della nostra comunità potevamo scegliere anche questo: il volto di Gesù Cristo formato dal volto di tutti gli uomini. Tutti. Lo spiritualista si isola con e il “suo” Buon Gesù. L’autentica spiritualità cristiana conosce, più di ogni altro, l’aggettivo “tutti”. Il Dio di Gesù è il Dio di tutti, anche se poi ama ognuno di noi come se fosse l’unico al mondo.
Lo spiritualismo è la negazione della spiritualità. Lo spiritualista si rinchiude nella propria eletta stanzetta, arredata da mobili in stile francescano, una vera “chicca” degna di una “anima bella” come lui, e lì coltiva il suo rapporto con Gesù: Gesù mio, mio Gesù, quanto ti voglio bene, eccetera; e il mondo intanto va come va, e gli uomini muoiono senza sapere come sono nati.
Il volto di Cristo è il volto di tutti. Se non è di tutti, non è il volto di Cristo. Il colloquio intimo con Cristo è una grande cosa, solo se abbraccia tutto il mondo. Una suora di clausura che non abbia una fortissima passione per la politica, che non senta l’ingiustizia che domina il mondo come un panno ruvido che passa su una ferita aperta, non ha capito nulla della sua vocazione.
Questa immagine viene dall’Ecuador, e coglie in maniera plasticamente molto efficace una verità fondamentale del cristianesimo: il cosiddetto “giudizio universale” del vangelo di Matteo in realtà è un scenario immaginario solennissimo sul cui sfondo viene affermato, come nucleo centrale dell’insegnamento morale di Gesù, che la fede è autentica solo quando rivoluziona i rapporti fra gli uomini e fa di tutti loro un corpo unico.
Ma molti uomini vivono, senza alcuna loro colpa, al di là del cono di luce della fede, e anche essi appartengono a Dio. Su quale base essi verranno giudicati? Sulla loro capacità di dare da mangiare agli affamati, di dar da bere agli assetati, di vestire gli ignudi…
In buona sostanza, sia che abbia avuto il dono della fede: sia che non l’abbia avuto, l’uomo viene giudicato unicamente in base al suo comportamento nei riguardi del suo prossimo che si trova in stato di necessità.

SPINGI LA VITA

Anche questa immagine andava bene come logo della Comunità di Capodarco dell’Umbria; la usiamo come apertura delle iniziative alle quali via via intendiamo dar vita. Con la scritta “Spingi la vita”.
Chi è che può spingere la vita? Chi ha salute, intelligenza viva, volontà ferrea? No, non solo loro, né soprattutto loro: anche un handicappato può spingere la vita: così la pensava Pino Sparacino, da Bagheria.
Pino Sparacino, una vita densa, scombiccherata, meravigliosa, finita prematuramente. Venne da noi in Vespa, da Imperia. Rimase stravolto dalla bellezza di Gubbio. Entrò nella sede dei Servizi Sociali, sedette e disse: “Sono un tossicodipendente e dunque sono a vostro carico”.
Ci telefonarono. Visse con noi diversi anni, intensi, generosissimi e mai banali.
Nel Convento di S. Girolamo, che allora era la nostra sede. “Comunità di S. Girolamo”, così la gente chiamava la nostra comunità, che in realtà si chiamava Centro Lavoro Cultura e che solo nel 1997 avrebbe assunto il nome di Comunità di Capodarco dell’Umbria. Pino salì. Non aveva nessun programma.
Poco dopo arrivò anche Silver, un profilo da fumetto tipo Dylan Dog, scombiccherato come Pino, profondamente buono come lui. La notte in cui si inauguravano le Olimpiadi di Los Angeles si addormentò sul muro del cortile antistante la chiesa, nel sonno si girò e cadde giù: 8 mt. di volo, incrinatura del bacino. Oggi sono tutt’e due in Paradiso, reparto scombiccherati, uno dei più consistenti.
Un giorno Pino apostrofò Franco Fanucci, il ragazzo tetraparetico e oligofrenico che don Angelo ha adottato nel 1975, quando aveva 11 anni, e che oggi, 2010, di anni ne ha 46!!, e gli gridò in faccia, sgarbato, mentre Franco si scompisciava dalle risate: “Perché tu sempre seduto e io sempre a spingere?” Detto fatto!! Lo prelevò dalla sua carrozzina, lo attaccò alle manopole e si sedette al suo posto.
È chiaro che con quelle gambette stortignaccole Franco non potrà spingere molto, ma il significato morale della iniziativa di Pino è altissimo: tutti dobbiamo promuovere la vita, nessuno può limitarsi a subirla! “Se non ce la fai da solo, ad andare in bagno, ti aiuto io; ma se ce la fai da solo, non contare su di me, perché io ti lascio annegare nei tuoi … prodotti”.
La comunità: CON LORO, non PER LORO, se non per di periodi limitati e da superare al più presto. Attenti!, perché l’emarginazione a volte ha dei percorsi molto sofisticati, primo fra tutti quello della facile compassione.

IL PENSIERO COMUNITARIO

“La logica dell’utopia. Quando nacque la Comunità di Capodarco”: in questo volumetto don Angelo, l’attuale presidente della CdCdU ripercorre i primi cinque anni (1966-1970) che la Comunità di Capodarco ha vissuto alla periferia del paesino omonimo (tra Fermo e Porto S. Giorgio), nella vetusta villa bellissima che era stata messa a disposizione da Roma, dal Centro Turistico Giovanile del Prof. Enrico Dossi, futuro don Enrico Dossi; il volumetto evita di limitarsi a raccontare e punta molto a rivelare quale tipo di riflessione ci fosse, già nel 1966, dietro le scelte di don Franco Monterubbianesi e dei suoi.
Qualcuno potrebbe dire: ma che c’entra la riflessione? Che ci fate con la filosofia? Che cavolo di riflessione occorre per assicurare la sopravvivenza a un gruppo di ragazzi che hanno solo il merito di vivere in carrozzina, o di trascinarsi su di un paio di canadesi, o di ignorare la logica più elementare nei discorsi che fanno?
Dio ci salvi dai praticoni. Chi opera senza riflettere è un micidiale pericolo pubblico che va neutralizzato prima che sia troppo tardi. La guerra è troppo importante per la farla fare ai generali”: l’ha detto Napoleone, o forse solo Clemenceau. È vero. La cura dei deboli è troppo importante per lasciarla ai praticoni.
“La casa di tutti” venne pubblicato a firma dei due futuri presidenti (Francesca Bondì e don Angelo) delle due future comunità di Capodarco in Umbria, quando ancora esse non operavano separatamente. Si tratta della tesi di Laurea in Pedagogia discussa da Francesca e approvata con il massimo dei voti. Il titolo allude alla scritta riportata da una modesta tavola affissa a fianco dello stipite della porta d’ingresso, fin dal primo giorno di vita della Comunità di Capodarco, che allora si chiamava Casa Papa Giovanni: “Questa è la casa di tutti, entrate pure!”.
Lavorando non tanto per gli invalidi, quanto con loro, abbiamo sempre continuato a riflettere. Su noi stessi. Sul mondo. Sugli uomini.
Su Dio. Non l’Essere Supremo dei Filosofi, ma il Padre di Gesù Cristo. Su Gesù Cristo, Messia degli ultimi e Salvatore degli oppressi, che si rende riconoscibile perché valorizza ogni vita, tutte le vite, anche quelle ridotte al lumicino. Isaia ci ha detto che avremmo potuto riconoscerlo, anche nei giorni feriali, dal fatto che non spegne i lucignoli fumiganti, non finisce di spezzare le canne incrinate. Bella prospettiva.
Il difficile è mantenersi fedeli ad essa ogni giorno.