LA MISSION DELLA CdCdu

La MISSION di una realtà associativa è l’insieme degli obiettivi che essa si propone di perseguire.
Abbiamo già detto che la nostra CdCdU, nella sua vision, ha fatto propria l’antropologia evangelica; e che questo però non necessariamente comporta l’adesione alla fede dalla quale quell’antropologia nasce.
Quella scelta ha un peso decisivo sulla mission dela CdCdU, sull’insieme dei suoi obiettivi.

GLI OBIETTIVI NELLA LOTTA CONTRO L’EMARGINAZIONE

Nei quasi 50 anni della loro storia tutte le Comunità di Capodarco (una goccia nell’oceano) sparse in ogni parte d’Italia, e tra esse la nostra CdCdU, si sono occupate prevalentemente di handicappati, assistendo sgomente al tentativo di risolvere il problema di questi nostri fratelli … cambiando il loro nome: da handicappati a disabili, da disabili a diversabili.
Ma, come tutte le altre comunità di Capodarco, anche la CdCdU s’è occupata e si occupa, come dice il suo Statuto, di handicappati in quanto emarginati: non è un precisazione da poco, perché si collega con il diverso concetto di RIABILITAZIONE nei discorsi della gente e nell’interpretazione che ne dànno gli operatori più attenti; per molti la riabilitazione è solo in funzione del recupero delle mobilità dell’arto o dell’organo leso, per gli operatori più attenti la riabilitazione dell’arto alla mobilità va spinta il più avanti possibile, ma la vera riabilitazione è la riabilitazione della persona alla vita, che avviene attraverso lo scambio tra persone che si mettono a diposizione dell’altro: esattamente quel settore del processo riabilitativo che certi testi sacri della medicina moderna chiamano (Dio li perdoni!) la parte alberghiera della riabilitazione.
All’interno di questa scelta, la CdCdU si batte contro ogni forma di custodialismo, contro la convinzione che, mentre tutti i cittadini meritano di essere promossi, altri (i disabili, ad esempio) no, basta custodirli: se sopravvivono, è grassa che cola! “Un piatto di minestra ce l’hai, cosa vuoi di più!?” E poi Perché mai dovrebbe esserci un lavoro per un handicappato, quando non c’è nemmeno per le persone normali? 
La CdCdU si batte contro ogni forma di monetizzazione del disagio: sei in difficoltà? eccoti dei soldi, prendili e taci.
La CdCdU si batte contro il cinismo che minimizza: sembra che con l’abolizione delle barriere architettoniche la società abbia fatto tutto quello che doveva fare; sembra che un disabile abbia solo bisogno di una carrozzina a motore, o di lavoretto rimediato. E se avesse bisogno di una famiglia? Che cosa gli offri, un pellegrinaggio? Un servizio a ore?

UNA COMUNITÀ DI ACCOGLIENZA, NON UNA COOPERATIVA SOCIALE, E NEMMENO UNA COMUNITÀ TERAPEUTICHE

Una comunità di accoglienza è cosa diversa da una cooperativa sociale, perché in una cooperativa, sociale o no, il motore di tutto è il sacrosanto interesse dai lavoratori che operano in essa, mentre in una comunità di accoglienza tutto è finalizzato al benessere dei soggetti accolti.
E una comunità di accoglienza è cosa diversa anche da una comunità terapeutica, in cui la terapia è lo scopo che ne giustifica l’esistenza, mentre nella comunità di accoglienza, quando c’è, quando occorre, la terapia è una parte soltanto di un processo di liberazione molto più ricco e complesso, perché -appunto- riguarda la persona e investe tutto il tempo di vita e tutti gli aspetti della vita.
Sulla scia di questo interrogativo la CdCdU tenta di costruire strutture di convivenza che il più possibile assomiglino a una famiglia, per dimensioni e tipologia affettiva. Ma fuori tornano di moda i mini/istituti spersonalizzanti,
C’è tutta una cultura dell’esclusione da sostituire con la cultura dell’inclusione.

GLI OBIETTIVI POLEMICI SUL PIANO GENERALE

Avendo come suo scopo essenziale lo sviluppo della persona, con particolare attenzione agli emarginati (Art. 2 dello Statuto) la Comunità di Capodarco dell’Umbria, come tutte le altre comunità di Capodarco sparse in Italia, combatte con tutte le sue forze contro tutto ciò che ignora o calpesta la persona, o ne minimizza l’importanza, ne emargina la dignità assoluta; la dignità di una persona, di tutte le persone è un assoluto, non c’è se e non c’è ma che tenga, vale sempre e comunque; e non è quantificabile, nessuno è “più uomo” di un altro; il bambino autistico è persona tanto quanto lo sono i Premi Nobel.
Sulla base di questa intuizione fondamentale, la Mission della Comunità l’impegna a combattere, anche con i pochi mezzi di cui dispone,
• contro gli aspetti deteriori del mondo nel quale viviamo:
o un mondo che si riempie la bocca del termine “persona”, ma poi si struttura su processi che la persona l’ignorano o la calpestano;
o un mondo che razionalizza anche le ingiustizie più gravi;
o un mondo che ci vuole tutti ridotti a burattini ubbidienti, gente mediocre, che si lasci manovrare e dice sempre di sì all’opinione dominante;
o un mondo al mondo noi uomini comuni interessiamo solo in due momenti: quando produciamo e quando consumiamo;
o un mondo che tenta di ridurre tutto intero il rapporto tra uomo e uomo allo scherma diritto/dovere;
• contro atteggiamenti radicalmente anticristiani ammantati di religiosità:
o l’atteggiamento di chi si limita a consolare l’emarginato e non si batte contro l’emarginazione.
o l’atteggiamento di chi aliena il disabile da se stesso, lo induce a dimenticare di essere soprattutto un uomo che Dio chiama, come tutti gli uomini, a realizzarsi nel tempo cooperando alla costruzione del Regno di Dio e della Chiesa.
o la concezione che sostituisce la preghiera all’impegno vitale.
o lo spiritualismo disincarnato.
o il dolorismo che, lungi valorizzare in termini di vita la sofferenza, la professionalizza, assegnandola fra l’altro come obiettivo di vita del disabili.
Gli obiettivi che, in positivo, al di là delle polemiche, ci proponiamo quando accogliamo un handicappato in quanto emarginato sono i più diversi: dipendono dal tipo di patologia, o di disagio sociale del quale quella persona è portatrice.
Prima ancora, però, questi obiettivi s’inseriscono in un quadro culturale e operativo complessivo, che riguarda il mondo del disagio, ma prima ancora riguarda la società nell’insieme dei suoi processi caratteristici.
E su questo piano la comunità incontra una moltitudine di amici e di maestri che hanno perseguito i suoi stessi scopi, e con molto maggiore incisività, ma in campi diversi.
E tutti insieme verifichiamo il modulo di cambiamento della società che oggi va per la maggiore: tramontate le ideologie, l’unico modello che appare fecondo, anche se su tempi, è quello che sostiene che Perché la società evolva in meglio occorre che 1.000 persone diverse, in 1.000 posti diversi, facciano 1.000 azioni diverse, ma tutte rispondenti allo stesso DNA: il DNA della profondità e della generosità.
In positivo la CdCdU si coinvolge negli obiettivi di tutti coloro
• che combattono contro i processi involutivi della nostra civiltà personalista,
• che lavorano a far crescere nei concreta rapporti tra gli uomini la comunione e la libertà, la generosità e la profondità;
• che affermano l’uguaglianza fra tutte le persone, in quanto persone, e la diversità come personalità: la dvrità è un richezza per tutti;
Dalla vita condivisa con soggetti minorati emerge un impegno generale a che la società appartenga a tutti: un corpo unico e armonico; in cui
• ci sia posto per tutti, e nessuno sia escluso,
• ognuno abbia un suo spazio personale e una sua funzione;
• ciascuno si veda garantito l’accesso a tutto il benessere possibile;
• le diversità vengano recepite come ricchezza;
• i diritti siano effettivamente esigibili: non ha senso uno Stato che si limita a proclamare di diritti della persona e non si preoccupa di creare le condizione per il loro effettivo esercizio.
• prevalga come unico modo per fare giustizia tra gente che vive in situazioni di profonda disuguaglianza: schierarsi dalla parte del più debole.

Sirio Politi, uno dei primi preti operai

De Foucault alle soglie del martirio

La tromba di Dio nella Bassa Padana

“Il Priore” nel pieno di una lezione

Il francobollo commemorativo, l’ultima presa in gira da parte del Potere

Fernanda

NELL’ALVEO DEI PROFETI DISARMATI DEL SEC. XX

La nostra Mission, l’insieme dei nostri obiettivi, va dunque inquadrata in uno spettro di significati e di esperienze molto più ampio di quello legato alla cura dell’handicap e/o del disagio sociale che ci vede impegnati. Questa specie di grandangolo ci fotografa immersi nel grande alveo dei Profeti disarmati del sec. XX, di quegli uomini di Chiesa che hanno duramente COMBATTUTO LA POVERTÀ COME MISERIA imposta ad alcune fasce di popolazione, nazionale e mondiale, dalla logica del profitto, hanno SCELTO LA POVERTÀ COME VIRTÙ di prima necessità per la Chiesa di oggi che rischia di affogare nell’opulenza, hanno messo AL PRIMO POSTO LA CONDIVISIONE DI VITA con i “dannati della terra”.
I preti operai in Italia si contarono sulla punta delle dita, ma furono un centinaio i sacerdoti che in Francia scelsero la full immersion nel come risposta alla pressoché totale scristianizzazione della Francia; essi divennero subito bersaglio di accuse reiterate: non si distinguevano in nulla dagli altri operai, aderivano sempre ai sindacati di sinistra, a volte risultavano iscritti al Partito Comunista Francese, partecipavano a tutti gli scioperi, avevano tagliato i rapporti con la pastorale ordinaria. Nel 1951 Roma proibisce loro ogni forma di reclutamento, nel 1953 fissa quattro condizioni per il prosieguo dell’esperienza, che in realtà la soffocano (lavoro non più di tre ore al giorno; nessun impegno sindacale; obbligatorio il collegamento con una parrocchia; proibito ogni coordinamento nazionale); quattro religiosi vengono destituiti dai loro incarichi per eccessiva vicinanza ai preti operai; tra di loro due domenicani, il P. Congar e il P. Chenu: Giovanni XXIII li nominerà “Esperti” del Concilio, e Congar lo farà addirittura cardinale. Pio XII nel 1954 ordinò all’Episcopato francese di richiamare i preti operai dalle fabbriche. Uno dei loro leader, Bernard Tiberghien, con una specie di angoscia profonda scriveva al cardinale Liénart: ma come è possibile un comando di questo genere? Ma se è lo stesso Spirito, lo stesso Cristo che parla attraverso i capi della Chiesa e parla attraverso i poveri! Come è possibile che non i capi della Chiesa non vengano capiti dai poveri? Niente: Aut/ aut: o la Chiesa o la classe operaia. Pochi ubbidirono, ma nessuno di loro riuscì a reinserirsi nella pastorale normale. Circa 60 restarono al loro posto di lavoratori e gradualmente nell’amarezza di chi si sente non capito, abbandonarono gradualmente il ministero.
Il Concilio li riabilitò, ma quell’esperienza non riuscì più a decollare (1858 – 1916) era stato ufficiale della Legione Straniera; convertitosi al vangelo, era divenuto eremita nel deserto del Sahara e, durante la prima Guerra Mondiale, nel corso di una vendetta tribale era stato ucciso da quegli stessi Tuaregh, con cui aveva vissuto tutti i suoi giorni di vita: se “martire” vuol dire “testimone”, De Foucault fu un autentico “Martire della condivisione”. Scrisse una regola che nessuno prese in considerazione finché, nel 1938 P. René Voillaume fondò i Piccoli Fratelli di Gesù, che la Chiesa riconoscerà solo nel 1986, dopo che Suor Madeleine avrà fondato le Piccole Sorelle. Vanno a vivere, lavorare e contemplare condividendo la povertà degli ambienti più poveri del mondo, dove il lavoro è più duro e meno pagato, lontani dalla Chiesa, nei paesi del Terzo Mondo o nelle grandi città scristianizzate. Voillaume: Il lavoro non è solo per il Piccolo Fratello un modo per essere povero come lo è oggi la maggioranza degli uomini, dando così alla povertà evangelica e religiosa una forma nuova che la renda comprensibile al popolo; il lavoro rappresenta per lui una più alta realtà: il Piccolo Fratello lavora perché ama i lavoratori e vuole semplicemente condividere le difficoltà e la fatica giornaliera dei suoi amici… Attraverso questa presenza delle Fraternità la Chiesa comincia essa stessa ad essere presente con la sua vita religiosa là dove non era ancora. Nessuna particolare opera di assistenza, solo un’offerta di amicizia e di solidarietà, nella piena condivisione della vita dei poveri. Negli anni 70 capitò per qualche giorno una ragazza austriaca, poliglotta, molto fine, molto bella, laureata in filosofia col massimo dei voti, diplomata in violino col massimo dei voti. Era in procinto di partire per l’India, al seguito di Madre Teresa di Calcutta. Quando gli chiedemmo che senso avesse quella scelta, ci parlò di quello che lei chiamava l’imprevisto della sua via: l’incontro con il Cristo condividente dei primi trent’anni della sua vita. Andava giù, in India, a fare quello che aveva fatto Lui, duemila anni prima. Se poi qualcuno gliene avesse chiesto il perché, avrebbe raccontato quello che le era accaduto.

Don Primo Mazzolari (1890 – 1959) contadino e parroco a Bozzolo (Diocesi di Cremona), visceralmente innamorato dei suoi braccianti della Bassa Padana, attentissimo a tutte le teologie protese a riconciliare la Chiesa con il mondo moderno, cultore di quel primato della coscienza, come regolatrice del rapporto dialettico fra libertà e autorità che era stato al centro della teologia del Card. Newmanun ex anglicano divenuto cattolico anomalo. Fu pacifista intransigente, per avere partecipato di persona all’orrenda mattanza di giovani che era stata la prima guerra mondiale. Fu antifascista senza compromessi, fin dagli inizi del ventennio. Partecipò alla guerra partigiana. I poveri, quei suoi amatissimi mezzadri e braccianti che si spezzavano la schiena nell’immane fatica quotidiana per guadagnarsi il pane, erano per lui luogo teologico privilegiato, e cioè riferimento essenziale per la corretta lettura della parola di Dio. Nel 1945 pubblicò Il compagno Cristo (1945) e partecipò alla fondazione della Democrazia Cristiana. Ma dopo il trionfo della DC nelle elezioni politiche del ’48, la linea moderata adottata dalla politica economica di De Gasperi deluse per sempre le speranze che un partito «cristia¬no», o per o meno “di Cristiani”, traducesse in fatti concreti l’ansia di rinno¬vamento che egli avvertiva, e che tanti dicevano di condividere. Da quel momento intraprese la pubblicazione di un giornaletto graficamente scialbo, Adesso, intorno al quale si coagulò il meglio dei dibattiti e delle iniziative di quanti in Italia, in nome delle istanze socialiste contenute nel Vangelo, erano alla ricerca di un’alternativa critica alla DC, che abbassava ogni giorno il profilo alto del programma sociale che doveva esserle connaturale. La Chiesa deve liberarsi dall’abbraccio asfissiante dei potenti, deve chiamarsi fuori dai Patti Lateranensi, che nel 1929 avevano , sì, chiuso la Questione romana apertasi con la breccia di Porta Pia (1870), ma il loro costo (atteggiamento eccessivamente morbido nei confronti del fascismo, appiattimento dei valori cristiani su quelli della borghesia, al Chiesa che fa da mosca cocchiera impegnata ad offrire copertura ideologica ai potenti che saccheggiano lo Stato, assurdi privilegi che strappati dalla Chiesa al fascismo e che avrebbe pagato in termini di credibilità). La Chiesa è vera quando si coinvolge con chiunque si batte per a giustizia e per la pace. Con i poveri al centro, perché una Chiesa senza poveri è come una famiglia senza bambini; protagonista di una rivoluzione cristiana che tra¬sformasse profondamente le condizioni materiali della gente comune, anche per consentirle una più libera ed intensa vita spi¬rituale, non era ulteriormente rimandabile: Pio
XII e l’Episcopato italiano, che rifiutarono sempre di prendere in considerazione il problema della povertà come un problema strutturale della società capitalista, riuscirono a far chiudere Adesso, ma gli scritti di don Mazzolari continuarono a circolare in forma semi-clandestina. Nel 1959, poco prima di morire, in un’udienza pubblica Giovanni XXIII, con una delle sue tipiche trasgressioni al cerimoniale, gli andò incontro, lo abbracciò e nel suo discorso lo chiamò la tromba di Dio nella bassa padana.

Don Lorenzo Milani (1923-1967) agli occhi di Giovanni XXIII era un ”pazzerello”, secondo una parte della Destra è lui che ha rovinato la scuola italiana, secondo noi e molti altri è un autentico profeta. Rampollo di una ricca e dotta famiglia fiorentina, di origini ebree ma ormai agnostica, si convertì al cattolicesimo a vent’anni, prendendo lo spunto dalla bellezza della liturgia (scoperta del tutto occasionalmente in un polveroso messale della cappella in disarmo in una villa di proprietà familiare), e dal gusto dell’essenziale che a Milano gli aveva trasmesso un professore di pittura astratta, certo Staude, ateo. Viceparroco a Calenzano, fu come ferito dal fatto che la popolazione operaia era assente dalla parrocchia, e chi la frequentava erano sempre e solo dei borghesi che vivevano stancamente la fede come adempimento rituale, con un’adesione totalmente acritica alla Chiesa. Questo voleva dire che il primo bisogno dell’evangelizzazione era la … pre/evangelizzazione: don Lorenzo si dedica anima e corpo a mettere a punto una scuola alternativa, ricca di valori, e il primo esemplare è la “”Scuola serale” che dalle 1 alle 24 e attrava in canonica molti giovani operai del paese. Nel 1958 esce, con l’imprimatur e la prefazione dell’Arcivescovo di Camerino Mons. D’Avack, Esperienze pastorali. Una bomba all’interno del mondo ecclesiale incrostato di muffa. Il Sant’Uffizio (l’attuale Congregazione per la Dottrina della Fede) lo fa ritirare dal commercio. Le tesi scandalose sono diverse in quel libretto; prima, l’oppressione dei poveri è la condizione essenziale perché chi ha in mano il potere possa continuare ad esercitarlo indisturbato; seconda, le parrocchie e le case del popolo (organizzate dal PCI) sono luoghi di corruzione, che fanno a gara per guadagnarsi clienti con il ping/pong e il calciobalilla; terza, per ritrovare il rapporto con i poveri la Chiesa deve ritornare al non expedit nei rapporti con la società: quarta, il sacerdote deve avere una funzione profetica: parli dunque il prete di governi e di politica, ma solo per criticarli. Mostri al cristiano soltanto quanto lontano egli sia dall’ideale altissimo del cristianesimo e mai lodi le realizzazioni terrene dei cattolici che saranno sempre terribili parodie dell’ideale; quarta, i poveri non possono stare in una chiesa solidale con chi i poveri li opprime. Nel frattempo don Milani era stato “esiliato” dal suo Vescovo, Florit, Cardinale Arcivescovo di Firenze, a Barbiana, una località sperduta tra i monti del Mugello; era il 1954; lui obbedì senza fiatare e vi rimase fino alla morte, nel 1967. Don Lorenzo non aveva la patente. Il servizio pubblico arrivava a due ore di cammino dalla sede della parrocchia. La canonica era umida e fredda. Ma in quei locali, intorno alla sua straripante passione di educatore e alle sue sfuriate di prete che (come dice nella Lettera i giudici) vedeva chiaro negli occhi dei suoi ragazzi quel futuro che gli altri avrebbero visto solo confuso e a a distanza di molti anni, nacque una delle più sconvolgenti esperienze pedagogiche del nostro tempo. Irripetibile. Chi si provò a riprodurla ne rimase scottato. La scuola post/elementare di Barbiana era una scuola a tempo pieno, 365 giorni all’anno (366 gli anni bisestili), condotta con metodologie assolutamente originali (il libro di testo era … il giornale), in presa diretta con la scritta che si stagliava sulla parete di fondo: I CARE; era il motto dei giovani contestatori degli USA. “Mi sta a cuore”, la riedizione di quanto aveva scritto l’antico commediografo latino, Terenzio: Homo sum, et nihil umani a me alienum puto (sono un uomo, e penso che nulla di quanto è umano mi sia estraneo). Irrepetibile, quella scuola, perché legata a filo doppio alla personalità e alla cultura di don Lorenzo, che, quando seppe di dover morire presto, si preoccupò di chiuderla. Ma il suo intento di fondo poteva e doveva essere proposto a ogni scuola di ogni ordine e grado. La chiave del problema era tutto in una sola domanda: A CHE SERVE LA SCUOLA? La risposta universalmente accettata era stata: LA SCUOLA SERVE PER FORMARE I I QUADRI DIRIGENTI DELLO STATO. Secondo don Milani, LA SCUOLA SERVE A GARANTIRE TUTTI I CITTADINI QUELLA UGUAGLIANZA CHE ALTRIMENTI RIMARREBBE SOLO SULLA CARTA. “Che sia povero o ricco conta meno: basta che parli”: fu la frase di don Milani assegnata nel 1975 dal Ministero dell’Istruzione a tutte le scuole di ogni ordine e grado. Altri tempi. A proposito dei poveri, la Chiesa anche quando vincesse assieme ai poveri la battaglia per la giustizia, dovrebbe cercare gli spazi della nuova povertà per incontrarvi, lì, il suo Signore crocifisso. La sua esperienza è esemplare di un rapporto chiesa/poveri che si allontana dagli schemi dominanti; quella del prete di Barbiana è una pastorale che, apparentemente secolarizzandosi a contatto coi poveri, manifesta invece una profonda aderenza al dettato evangelico. La sua riflessione si muove tra il pedagogico e il sociale, il prete emarginato perché solidale coi poveri e proteso al loro riscatto come condizione prima di una efficace opera di evangelizzazione, è un segno silenzioso ma forte di un disagio complessivo della chiesa. Presto la stessa DC, imboccando la strada dei tanti esperimenti di centro/sinistra, recepirà questo disagio e cambierà a 90° le sua alleanza politiche. L’ultima battaglia fu quella a favore dell’obiezione di coscienza. Un giorno venne letta in classe una “Lettera aperta dei Cappellani militari della Toscana”, che aggrediva, chiamandoli “vigliacchi”, i ragazzi che affrontavano anche anni di carcere perché il Parlamento Italiano si decidesse ad approvare la Legge sull’Obbiezione di coscienza:lo risposa della Scuola di Barbiana fu la sferzante dimostrazione delle futilità di tutte le guerre recenti, tranne la guerra partigiana. Citato in giudizio e condannato in primo grado, don Lorenzo scrisse e inviò ai giudici il suo capolavoro (la Lettera ai giudici) che venne letto in aula del secondo grado, ma non gli valse l’assoluzione, perché nel frattempo egli era morto. E aveva scritto nel suo testamento: “Cari ragazzi ho amato più voi che Dio…”

Giorgio La Pira (1904 – 1977), siciliano, ragioniere a 17 anni, maturato al liceo classico a 18,
studente a giurisprudenza con forti simpatie per D’Annunzio e Marinetti, a 20 anni si converte e si consacra come Terziario domenicano. Co/fondatore dell’Istituto della Regalità di P. Gemelli. A Firenze dal 1926, nel 1934 diviene ordinario di Diritto Romano. Fonda la “Messa di San Procolo”, per l’assistenza materiale e spirituale dei poveri, e la rivista Princìpi volta alla difesa dei diritti della persona umana, presto soppressa dal regime. Nel 1943 il suo foglio clandestino, San Marco, viene bloccato dal regime. Fugge. Torna a Firenze nel 1945. UOMO POLITICO APPASSIONATO orienta alla costruzione cristianamente ispirata della società la sua vita personale, tutta tessuta di preghiera, di meditazione. 1946: eletto all’Assemblea Costituente. con Giuseppe Dossetti e altri fonda l’associazione Civitas Humana; fa parte con Amintore Fanfani e Giuseppe Lazzati della Comunità del porcellino, collabora alla rivista Cronache Sociali. Nell’ambito della Commissione dei 75 contribuì alla redazione dell’Art. 2 della Costituzione : La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Per lui il fascismo era stata una “Religione di Stato” di stampo hegeliano; agli antipodi, andava riaffermata la centralità politica della persona umana. Eletto nella DC nel 1948, sottosegretario al Ministero del Lavoro e Previdenza sociale (mentre Ministro era l’amico Amintore Fanfani). Nel 1951 fu eletto SINDACO DÌ FIRENZE; lo rimase fino al 1965; il primo atto: fu quello di conferire la cittadinanza onoraria di Firenze a don Facibeni, fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa. Tra le molte opere pubbliche, la precedenza venne data alle case popolari e alle scuole (moltissime), al quartiere-satellite dell’Isolotto, agli ultimi della scala sociale. Quando emerse il problema degli sfrattati, La Pira violò più volte la legge, e in Consiglio disse: Signori Consiglieri, voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco non si interessi delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.). È il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette discriminazioni e che mi deriva prima che dalla mia posizione di capo della città -e quindi capo della unica e solidale famiglia cittadina- dalla mia coscienza di cristiano: c’è qui in giuoco LA SOSTANZA STESSA DELLA GRAZIA E DELL’EVANGELO! Se c’è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi e con tutti gli accorgimenti che l’amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia o diminuita o lenita. Altra norma di condotta per un Sindaco, e per un Sindaco cristiano in ispecie non c’è! Difende con tutti i mezzi l’occupazione, e lo accusano di statalismo e di comunismo bianco: tra gli accusatori c’è anche don Sturzo, e lui replica: Con 10000 disoccupati, 3000 sfrattati, 17000 libretti di povertà … : cosa deve fare un sindaco? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: “Scusate, non posso mica interessarmi di voi perché non sono statalista ma interclassista? Ispira la nascita di Obiettivo Giovani, un’associazione di volontariato dedita all’assistenza dei poveri e all’avviamento professionale dei giovani provenienti dalle classi più umili. Presiede la società San Vincenzo de’ Paoli, di Firenze, e ne incrementa le attività caritative e sociali. Fonda la prima Casa Famiglia d’Italia. Attivissimo SUL PIANO DELLA POLITICA INTERNAZIONALE di pace, gemella Firenze con Filadelfia, Kiev, Kyōto, Fez e Reims. Conferisce la cittadinanza onoraria al segretario dell’ONU U Thant e all’architetto Le Corbusier. Promuove tavole rotonde internazionali sulle ricerche spaziali, sul disarmo, sul ruolo del Terzo Mondo e degli Stati africani emergenti. Lancia l’idea dell’Università Europea. Nel 1959 tiene un discorso a Mosca, davanti al Soviet Supremo in difesa della distensione e del disarmo. Arriva a coinvolgere il Senegal di Léopold Senghor, il Vietnam di Ho Chi Mihn e la Cina di Mao. La sua visione della storia è quella del profeta Isaia: sfiducia in tutte le alleanze umane, fiducia totale e onnicomprensiva in Dio. La Resurrezione, lievito trasformatore della realtà cosmica e storica, fa di Cristo vivente il centro della storia: nel tumulto di tutti questi impegni, La Pira non dimentica mai la dimensione contemplativa; soprattutto nelle Lettere al Carmelo chiede che l’impegno politico e quello spirituale, procedano sempre appaiati. Nel 1986 Papa Giovanni Paolo II avvia la sua causa di beatificazione.

Mazzolari, Milani, La Pira: sulla loro scia un numero crescente di cattolici prese a ruminare i temi del rinnovamento ecclesiale, che il Concilio fece in gran parte propri e che all’inizio del III millennio conservatori vorrebbero cancellare.

FERNANDA, SGUARDO D’INSIEME SUGLI OBIETTIVI CONCRETI DEL NOSTRA MISSION

Abbiamo detto che gli obiettivi che ci proponiamo quando accogliamo un handicappato o un portatore di disagio sociale in quanto emarginato sono molto variegati, dipendono dal tipo di patologia, o di disagio sociale del quale quella persona è portatrice; ne parleremo diffusamente nei prossimi sottomenu: “Come viviamo”, “Cosa facciamo”, ecc.. Per noi è praticamente impossibile coglierli tutti con un unico sguardo d’insieme. Forse lo sguardo d’insieme che per noi è impossibile è possibile per Fernanda. Quando l‘accogliemmo nemmeno immaginavamo quale ricchezza Fernanda portasse con sé in comunità. Lei è una vittima del Talidomide, l’analgesico maledetto che nei primi anni 60 la ditta produttrice mise in commercio senza avvertire il gravissimo pericolo che esso comportava per le gestanti: le gestanti che l’avessero assunto avrebbero rischiato che il figlio nascesse focomelico. Fu quello che accadde a Fernanda e a sua madre, che s’era trasferita da Branca di Gubbio a Torino con tutta la famiglia, per motivi di lavoro. La ditta produttrice del Talidomide aveva taciuto perché doveva recuperare i capitali investiti nella ricerca. Una scelta maledetta, che pagarono Fernanda e molti altri suoi fratellini; molti: alcuni dicono 17.000, altri addirittura 70.000. Oggi Fernanda coi moncherini delle sue braccia non solo mangia da sola, ma riesce anche a ricamare. E coi moncherini delle sue gambe arriva un po’ dopo, ma arriva sempre. E soprattutto ha uno sguardo magico. Sereno. Profondo, Forse è questo lo sguardo d’insieme del quale tutti abbiamo bisogno. Lo sguardo della Comunità che guarda il mondo.

LA “CONTRASTO”: UN OBIETTIVO ALTAMENTE PROFESSIONALE SUI NOSTRI OBIETTIVI CONCRETI

Un altro sguardo d’insieme sugli obiettivi concreti della nostra Mission fu realizzato da una grande agenzia fotografica, l’Agenzia Contrasto di Roma. L’obiettivo della macchina fotografica si spostò rapidamente, a capriccio, da un particolare della nostra vita all’altro. Ne venne fuori quasi una sequenza fotografica, riprodotta in parte qui sotto:

IL VALORE DEI VALORI NELL’ESPLETAMENTO DELLA NOSTRA MISSION

Abbiamo detto che occorre adottare “obiettivi molto variegati” per poter accogliere in stile personalizzato i più diversi tipi di handicap o di disagio sociale. Bisogna riciclarsi ogni volta che si presenta un nuovo “caso”. Ma come si fa? Innanzitutto prendendo atto che non è un “caso” ma una persona. E poi, soprattutto, attivando quello che per noi è (dovrebbe essere) il valore dei valori: l’ASSOLUTIZZAZIONE DEL RELATIVO. Di norma i progressi che queste persone, grazie alla Comunità, potranno realizzare nella loro vita sono pregiudizialmente limitati, spesso molto limitati. Alcuni “sfondano”, come hanno fatto da noi Antonietta Botta (il nostro Direttore Medico), Francesca Bondì (Presidente della Capodarco di Perugia), Paolo Concer (operatore sociale di grande levatura, in una iniziativa ttta sua, instancabile fino alla morte, a Ponte S. Giovanni) , Antonietta “Toti” Perla (logopedista), Daniele Pascolini (vicepresidente della Coop. La Saonda e grande esperto di riproduzioni in argento), Anna Maria Bellucci (infermiera professionale), Cinzia Fulvi (ostetrica), Lino Parolini (corniciaio in proprio), Domenica Mari (fresca addetta alla reception all’Ospedale di Branca). Ma queste purtroppo sono eccezioni. La norma è la creazione di uno spazio d’impegno che è insieme di terapia occupazionale e di lavoro, uno spazio proporzionato alle loro residuali capacità, uno spazio molto ridotto, ma è l’unico accessibile alla loro dignità di persone. Allora bisogna riuscire ad entusiasmarsi di quelle piccole conquiste come se fossero grandiose, bisogna assolutizzare come merita quello che oggettivamente è molto relativo. Chi ha fede parla dello “sguardo di Dio”, che si entusiasma di ogni piccolo passo che l’uomo compie verso quella sua piena realizzazione che è poi l’unica ”gloria” che egli si aspetta da noi; un Dio che gode della scoperta della teoria della relatività, sia quando la dimostra Albert Einstein in laboratorio, sia quando, in modalità tutte … ruspanti, la scopre Franchino: la nave si stacca dal molo di Civitavecchia, verso la Sardegna, e dalla poppa della nave lui addita la terra che si allontanava gridando: “Se move!”, si muove.