La Comunità di Capodarco è nata nel 1966 per combattere la vasta emarginazione, questo tentacolare fenomeno che è sempre esistito, ma che oggi potrebbe e dovrebbe essere scomparso. Oggi infatti, per la prima volta nella storia dell’umanità, la terra è in grado di nutrire tutti i suoi abitanti. Oggi, per la prima volta nella sua storia, l’umanità può permettersi di garantire ad ognuno dei suoi membri un collocazione decorosa. Ma non lo fa, perché su tutto prevarica la legge dl Santissimo Profitto, che, gridando vendetta al cospetto di Dio, perpetua l’emarginazione soprattutto dei nuovi poveri, ma anche degli poveri si sempre.

Da allora ad oggi moltissime cose sono cambiate. Dicono gli studiosi che, se prendiamo come unità di misura il n.1, il mondo è cambiato di un sola volta tra l’anno 0 e il 1500 d.C., è cambiato della stessa misura fra il 1500 e il 1800 d.C., e ancora della stessa misura tra il 1800 e il 1900 d.C., idem tra il 1900 e il 1950, idem fra il 1950 e il 1975

E questo vale anche per quello che riguarda la ricchezza dei singoli e le opportunità di vita che vengono offerte a ciascuno. Se la vita è un banchetto, sul tavolo di quel banchetto le pietanze sono cresciute di molto come numero e come qualità.

Quella che non è cambiata è la fame di coloro che dal banchetto erano esclusi allora e lo sono anche oggi: tutta una serie di gruppi, composti da persone che “non reggono il passo” nel consumare e nel produrre: i vecchi, i tossici, le ragazze madri, i disabili.

Sono passati poco meno di 50 anni, le fasi dello sviluppo della Comunità di Capodarco sono state numerose e imprevedibili: uno sviluppo rizomatico, così si esprimono oggi gli storici della sociologia. Come quello di un rizoma, un tubero che cresce in maniera imprevedibile, sottoterra, al buio.

Oggi la Comunità di Capodarco è presente in 19 diverse località, con nomi a volte diversi:

ASSOCIAZIONE GRUPPO 78
Volano (TN)

COMUNITÀ DI COSTO
Arzignano (VI)

COMUNITÀ DI CAPODARCO VENETO
Resana (TV)

COMUNITÀ DI CAPODARCO DI PERUGIA
Prepo (PG)

ASSOCIAZIONE COMUNITÀ LA BUONA NOVELLA
Fabriano (AN)

COMUNITÀ CAPODARCO DI FERMO
Capodarco di Fermo (AP)

COMUNITÀ DI CAPODARCO DI ROMA
Roma (RM)

ASSOCIAZIONE “L’AQUILONE”
Formia (LT)

ASSOCIAZIONE IL SEME
Oristano (OR)

COMUNITÀ 21 MARZOTerracina (LT)

COMUNITA’ DI CAPODARCO DI TEVEROLA
Teverola (CE)

ASSOCIAZIONE IL SOLCO
Lecce (LE)

COMUNITÀ DI CAPODARCO PADRE GIGI MOVIA
Nardò (LE)

ASSOCIAZIONE COMUNITÀ PROGETTO SUD
Lamezia Terme (CZ)

COOP. SOCIALE MISTYA
Gioiosa Ionica (RC)

COMUNITÀ PROGETTO SICILIA
Palermo (PA)

ASSOCIAZIONE COMUNITÀ S.GIUSEPPE
Linguaglossa (CT)

ASSOCIAZIONE IL FAVO
Caltagirone

Contrariamente alle due comunità del Friuli (la “Piergiorgio” di Udine e la “Rinascita” di Tolmezzo), che hanno voluto una loro collocazione giuridicamente fuori di Capodarco, la nostra comunità di Capodarco dell’Umbria, dopo un lungo contenzioso con la Comunità Nazionale di Capodarco, oggi sta tornando in pieno, anche giuridicamente, nell’alveo della grande famiglia.

Dal 1966 al 1970 l’unica comunità di Capodarco era Casa Papa Giovanni, l’ex Villa Piccolomini in Via Vallescura 47, nel ridente paesino che guarda al mare, sulla strada che da Fermo scende verso Porto S. Giorgio. Da quel’anno prese il via la diaspora: in rapida successione nacquero comunità di Capodarco a Fabriano , a Udine, a Roma.

Per don Franco Monterubbianesi, il fondatore, il 1970 fu segnato da quattro eventi decisivi.

Il primo fu il processo all’obiettore di coscienza Antonio Riva, che, quando la legge sugli obiettori di coscienza ancora non esisteva, aveva stracciato la cartolina militare ed aveva scelto di fare il suo servizio alla patria con i disabili di Casa Papa Giovanni; pur condannandolo, il Tribunale di Torino, ala presenza di una folta delegazione della Comunità, aveva detto che effettivamente quello era un modo eccellente di servizio alla società, anche se ancora la legge non lo permetteva: lo avrebbe permesso a partire dal 1972.

Il secondo fu la fuoruscita dell’alveo di Capodarco della “Comunità delle Tre Pere”, che con il suo progetto massimalista e incapace di dialogo aveva tormentato per mesi la Comunità, rischiando di spaccarla; poi però riuscì a coinvolgere solo un piccolo numero di persone in quel suo progetto, che poi non andò mai oltre l’ipotesi.

Il terzo fu la celebrazione del primo “matrimonio comunitario”: le prima tre coppie di disabili, tutt’e sei invalidi al 100%; l’8 agosto: Milly e Memmo, Natalia e Lucio, Emma e Michele: tutt’ora viva e instancabile è solo quest’ultima coppia, a Roma, con due figli e cinque nipoti; le altre due coppie hanno lasciato da tempo questo mondo.

Il quarto fu la creazione primo pied-à-terre di Capodarco a Roma, minimo, ma vivace: il Centro Inserimento Handicappati nel quartiere popolare Statuario/Quarto Miglio, in Via Cassano al Jonio.

Su tutti, il SEGNO DEI SEGNI: la morte traumatica E MISTERIOSA di DON PIERGIORGIO FAIN sulla spiaggia di Porto S. Giorgio frequentata dalla Comunità.

Così lo ricorda Bruno Della Pietra, a tutt’oggi presente a Casa Papa Giovanni.

Nato nel 1941 in Friuli, Piergiorgio Fain era diventato prete nel 1967. Al terzo anno del suo giovane sacerdozio, egli prese a frequentare, insieme ad alcuni membri del suo gruppo giovanile, l’istituto di riabilitazione Gervasutta, di Udine, e lì conobbe don Onelio Ciani, ricoverato in carrozzina, per una forma degenerativa di SLA. Don Onelio era stato un prete molto dinamico e nella sua nuova condizione aspirava a trovare una forma comunitaria di vita per sé e per i disabili che s’erano aggregati a lui. Si formò un gruppetto, con i due preti e i disabili Tino, Gelvido, Bruno Della Pietra.

Da quel momento il mondo degli handicappati, con le loro tensioni, i loro dolori ma anche con le loro speranze, divenne sempre più anche il mondo di don Piergiorgio.

Cosa fare? Appena presero a progettare insieme, subito sull’orizzonte delle loro speranze apparve Casa Papa Giovanni.

Notizie frammentarie e sommarie: decisero di andare a conoscere di persona la nuova realtà. Era appena cominciata l’estate. Prima partì don Onelio con un gruppetto di handicappati, pochi giorni dopo partì don Pergiorgio con il suo gruppetto di giovani.

Giorni un po’ caotici, pieni di gioia e di interrogativi irrisolti. Una grande riflessione. Don Piergiorgio partecipava a tutto, lavorava, parlava, progettava. Lì tutto era nuovo. La gestione faceva capo a don Franco,ma anche molti handicappati avevano le loro responsabilità, sebbene: Una cucina caotica, il pranzo c’era quasi sempre, la sera si andava avanti a forza di panini. Stavano muovendo i primi passi alcuni piccoli laboratori. Per assumere le decisioni importanti o per condividere gli approfondimenti ideali si tenevano assemblee a ripetizione. Non era un istituto, ma un ambiente democratico dove l’handicappato aveva diritto di parola, le sue idee avevano un valore ma a lui si chiedeva di ascoltare quelle degli altri.

Era davvero LA CASA DI TUTTI, come diceva il cartello a fianco dell’entrata. Tutti ci potevano entrare e darsi da fare per costruire insieme un domani migliore per le persone sane e per gli handicappati.

“Nell’amore tutto è possibile “, ripeteva ad ogni passo don Franco, il fondatore.

L’accoglienza riservata agli Udinesi fu gioiosa e generosa. I “Comunitari” non poterono offrire loro bevande, dolci e liquori (non c’era un solo per acquistarli), ma un affetto accogliente e cordiale, tante strette di mano, tante riflessioni condivise. Tata speranza.

Arrivavano ogni giorno o quasi sempre nuove ondate di giovani volontari, anche dall’estero. E si era in più di cento persone. Sula bolgia tumultuosa aleggiava l’entusiasmo di don Franco, un vulcano di idee e di speranze per tutti. Il giovane prete friulano ne fu totalmente coinvolto.

Eravamo in piena estate; nei pomeriggi roventi i bagni al mare erano lo svago migliore, poche ore di gioia schietta.
In uno di quei pomeriggi (secondo o terzo giorno di permanenza), don Piergiorgio, insieme ad una piccola comitiva, scese alla spiaggia di Porto S. Giorgio, tre o quattro km di strada. Normodotati e handicappati insieme. L’allegria dilagava, gli scherzi si moltiplicavano, ognuno aiutava l’altro ad entrare in acqua. E dove d’era trambusto Don Piergiorgio non mancava mai.
Ma Lui il bagno in mare non aveva mai fatto, per via di un’autentica fobia dell’acqua della quale soffriva in maniera molto forte. Nemmeno da ragazzo, nel suo Friuli, si era mai azzardato a tuffarsi in un torrente; la sua malattia era sta chiarissima, per lui e per i suoi, fin da bambino.
Sulla spiaggia don Piergiorgio si divertiva, ma non pensava certo ad entrare in acqua: Gli inviti della comitiva già a bagno maria in mare si facevano sempre più pressanti: ormai Piergiorgio era il solo rimasto a riva. Non riuscì a dire di no.
Entrato in acqua, con i jeans arrotolati fino al ginocchio. Il giovane prete si spinse solo fino a pochi metri dalla riva, e all’improvviso, nel vivo dei giochi, cadde in avanti, nell’acqua; gli amici pensarono che fosse uno scherzo, ma lui non dava più segni di vita: allora lo afferrarono di corsa sotto le ascelle e lo trascinarono a riva.
Senza vita. Qualcuno tentò un massaggio cardiaco, una respirazione bocca a bocca, mentre il silenzio era piombato su tutti, impietriti. Chiamarono un’ambulanza, L’angoscia era palpabile. Arrivò l’ambulanza e se lo portò via di corsa.
Nei suoi polmoni non c’era nemmeno una goccia d’acqua. Don Piergiorgio era morto per collasso cardiocircolatorio, dovuto all’improvviso elevarsi all’ennesima potenza della sua fobia per l’acqua. Era il 17 luglio 1970. Aveva compiuto 29 anni in aprile.
***
Il 30 giugno precedente era arrivato per la prima volta a Capodarco don Angelo di Gubbio, alla ricerca della possibilità di proporre ai suoi studenti del Movimento Studenti Eugubino un modello di campo non autograificante, come i molti che ne avevano fatti, a Burano ma anche vicino a Montevarchi, durante i Campionati del Mondo di Calcio, nel 1970; Ci voleva una campo di lavoro ricco di valori e di impegno.
Da Capodarco don Angelo era tornato a Gubbio entusiasta. Stava nascendo il primo di una lunghissima serie di campi di lavoro di ragazzi eugubini, a Capodarco prima, poi a Fabriano, infine a Gubbio, sul Monte Ansciano, nel Convento di S. Girolamo: il suo entusiasmo da subito aveva contagiato ragazzi e ragazze, anche non appartenenti al Movimento Studenti Eugubino.
Don Anglo e i suoi arrivarono qualche giorno dopo che don Piergiorgio era tornato a dormire il sonno dei giusti nella sua Udine. Sulla scia di quella morte nacque il rapporto Capodarco-Gubbio.
***
A distanza di quaranta anni, il 17 luglio 2010, a Udine, don Frano l’ha ricordato mentre, alla presenza del nuovo Arcivescovo, di tutti i comunitari e di tanti amici veniva inaugurato il monumento in sua memoria nel giardino della Comunità che porta il suo nome.
Il morire tragico di don Piergiorgio, sulla nostra spiaggia di Capodarco, in mezzo agli handicappati, nel lontano ’70, è stato il motivo, la forza profonda con cui la Comunità Piergiorgio di Udine è potuta nascere e svilupparsi alla grande, e più tardi a Comunità di Rinascita a Tolmezzo.
A Dio, fonte di tutto l’amore della Terra, nulla è impossibile! È Lui che compie, attraverso le stesse sofferenze, le stesse morti tragiche, opere meravigliose d’amore. Per questo il fondamento del sacrificio di Piergiorgio, con tutta la passione e la dedizione che aveva nel cuore, e che lo disponeva a dare la vita per gli altri (ce l’aveva rivelato alla grande durante quei pochissimi giorni che a Capodarco avevamo potuto conoscerlo). La sua vicenda è di sostanziale importanza per qualsiasi riflessione che, con rinnovata maturità, possiamo mettere a fuoco, soprattutto per il futuro delle nostre comunità, tutte quelle nate da Capodarco. Penso anche ad un altro sacerdote che ha dato la vita per la Comunità, don Graziano Polini, a Fabriano, al culmine di una malattia molto dolorosa.
Fare del proprio sacerdozio, unito a quello di Cristo, un’offerta totale, sino al dono supremo della propria vita, è sempre qualcosa di assoluto, da cui Dio sa trarre il bene più grande per noi che dobbiamo continuare l’opera intrapresa.
In questo momento di smarrimento della società, ma anche della Chiesa, non possiamo nasconderci il vuoto di profezia del Vangelo che tanti tra coloro che si dicono cristiani rivelano nel loro comportamento; un comportamento che oggettivamente, è di rifiuto dei poveri. I poveri del Sud del mondo e gli immigrati bussano invano alle nostre porte, e in questa luce il ricordo di don Piergiorgio ci deve ammonire: ci sarà un futuro per tutte le Comunità se ancora una volta, insieme, a fondo faremo fronte all’emarginazione di oggi, l’emarginazione dei poveri della Terra, quelli del Sud, ma anche dei poveri e dei deboli del nostro territorio … : rendiamocene conto!, stiamo tornando indietro.
Dobbiamo tornare a costruire, impegnando la forza ideale dei giovani, naturali portatori naturali della Speranza, e quella ideale della famiglia “aperta” all’Amore, condividente l’Altro. Piergiorgio con il suo dono assoluto è sempre vivo in mezzo a noi.
Nell’Amore tutto è possibile. Anche cambiare questa società.

Don Franco

Quando, nel 1971, nacque La Buona Novella, Comunità di Capodarco a Fabriano, al cui interno da subito prendemmo ad elaborare il progetto di una Comunità di Capodarco a Gubbio, questo avvenne sulla scia di uno di quei fatti misteriosi, ma anche dolorosi ed esaltanti, di fronte ai quali non resta che piegare la testa e tacere.

Mentre noi “partivamo”, da poco era partita un’altra comunità, a Udine.

L’iniziativa era stata anche noi