PERSONE

Un’eterea principessa egiziana? Persona? Oh! Yes!!

PERSONE

Un filosofo pensoso di se stesso e del mondo? Persona? Oh! Yes!!

PERSONE

Un condottiero asciutto e deciso, uno di quelli che dove arrivano fanno il deserto e lo chiamano ”pace” ? Persona? Oh! Yes!!

PERSONE

Il duca Federico da Montefeltro? Oh! Yes!! Quando uno, senza perdere il coraggio di guardare in faccia una moglie racchia, si fa scalpellare via un pezzo di naso, per non perdere la visione dell’altra parte del mondo, compromessa da un occhio bollo rimediato in guerra … sicuramente “persona” lo è, e di razza!! Oh! Yes!!

LA VISION DELLA CdCdu

Parlare della VISION di una certa realtà associativa vuol dire esporre i suoi valori fondanti.
La vision della CdCdU è tutta nell’antropologia evangelica, nel concetto di uomo che nasce dalla fede cristiana, ma che non necessariamente comporta l’adesione alla fede dalla quale quell’antropologia nasce.
La fede è un dono di Dio. L’adesione all’antropologia evangelica è un scelta dell’uomo.
La CdCdU vive di questa scelta.

Il primato dell’Altro

Nell’antropologia evangelica il centro della scena tocca all’altro, che nella luce dell’insegna, mento di Gesù diventa l’Altro, con la maiuscola.
L’Altro come istanza fondamentale e ineludibile della realizzazione dell’Io.
Lo scontro frontale ha luogo intorno a questa domanda: chi sono gli altri?
Per Sartre gli altri sono l’inferno (L’enfer sont les autres).
Noi ci riconosciamo nella favola russa della suocera di S. Pietro.
Finita all’inferno per le sue troppe maldicenze, la madre della moglie del primo Papa riuscì a farsi liberare dall’inferno da un angelo mandato a prelevarla, per portarla in cielo; ma nel momento in cui lei s’aggrappò alla mano dell’angelo, due altri dannati si aggrapparono ai suoi piedi; e subito dopo quattro altri riuscirono a fare altrettanto coi piedi di quei primi due, poi altri 8, e poi 16, e poi 32…: un enorme grappolo triangolare a base sempre più larga prese a librarsi sopra l’inferno, gioiosamente, verso quel paradiso nel quale nessuno ormai sperava più.
Poi qualcuno ebbe un dubbio:E se fossimo troppi?, e cominciò a scalciare per liberarsi da quel peso ai piedi. Improvviso, il primo scossone. L’esempio contagia. Molti, moltissimi presero a scalciare. Un brandello qua, uno là, il grande grappolo triangolare prese rapidamente a disintegrarsi, e le fiamme tornarono a impadronirsi, l’uno dopo l’altro, di quegli illusi.
La suocera di S. Pietro, che occupava il vertice del triangolo e vedeva dall’alto macchie nere di gente ripiombare inerti verso il basso, avvertì una sensazione strana: man mano che si andava sfilacciando e assottigliando il triangolo, il peso che lei avvertiva ai piedi non solo non diminuiva, ma cresceva.
Appesi ai suoi piedi rimasero ad un certo punto solo i due che erano stati pronti ad aggrapparcisi per primi; due soli ma pesantissimi! Debbo liberarmi di loro! pensò la donna, e con le ultime energie che le rimanevano, scalciando come una pazza, riuscì a “sganciare” quegli ultimi due, che precipitarono anch’essi, senza un grido.
Ma in quel preciso istante anche per l’angelo il peso del corpo della donna si fece insostenibile, e anche la suocera di S. Pietro ripiombò per sempre là donde, anche se solo per un attimo, aveva presunto di poter uscire da sola.

Il primato dell’Altro

Uno dei vertici del nostro pensiero ebraico/greco/cristiano è il concetto di PERSONA. Per il nostro pensiero ebraico/greco /cristiano l’uomo è innanzitutto PERSONA. Ma … in che senso? Qual è il nucleo duro di questa parola tanto impegnativa, che nelle lingua latina (niente meno!) indicava quella specie di mascherone indossato dagli attori tragici, che serviva loro da altoparlante?
Non ci soddisfaceva il concetto di persona in senso meramente funzionale, cioè estratto da ciò che la persona fa. Cercavamo un definizione sostanziale.
Come cogliere un proprium che differenzi la persona dal repertorio materiale di pensieri e di azioni che ci dicono che l’uomo è persona, ma non ci dicono grazie a che cosa l’uomo è persona?
L’Idealismo ha visto come unici elementi costitutivi della persona l’autocoscienza, la razionalità e la capacità di maturare giudizi morali. Definizione monca, perché esclude il livello corporeo/biologico/genetico; migliori le antiche definizioni date da Boezio (rationalis naturae individua substantia), da Riccardo di San Vittore (rationalis naturae individua existentia) e da S. Tommaso d’Aquino (individuum subsistens in rationali natura), perché parlando tutte di susbtantia includono anche, o per lo meno non escludono, quel livello.
Un soggetto individuale sostanziale, dotato di SPIRITUALITÀ. Ognuno di noi è persona perché alla base della nostra esistenza c’è uno spiritus, un soffio, un biblico ruàĥ all’inizio dei tempi che ci è stato soffiato in volto, un vento impalpabile e decisivo, che fa di ognuno di noi un irrepetibile, originalissima realtà intenzionale: relazionalità, interiorità, autopossesso, autocoscienza, libertà, dominio dei propri atti: è la realizzazione più piena il concetto di persona.
Inndividuum, quod est in se indistinctum, ab aliis vero distinctum.
In se indistinctum: realtà che non è non ulteriormente separabile, che possieda se stessa in pienezza. Tommaso d’Aquino concludeva che la persona è quanto di più perfetto si dia in tutto l’universo, poiché in nessun altro individuo si può rinvenire una così ricca gamma di perfezioni ontologiche e operative, e una più profonda unità, scaturente dalla forma sostanziale.
La singolarità della persona si condensa in una qualità che soltanto essa possiede: la quasi paradossale compresenza di incomunicabilità ontologica e di comunicabilità intenzionale. Incomunicabilità nell’ordine dell’esistere, perché essa da una parte è solamente sua, non è compartecipabile con altri; ma dall’altra e al tempo stesso è comunicabilità intenzionale nell’ordine dell’agire: conosce, ama, dialoga, “vive con”: la persona è apertura all’Intero.

Persona e personalità

Netta la differenza tra l’esser persona e l’essere personalità, se con questo ultimo termine intendiamo la progressiva acquisizione su piano operativo (atto secondo) di qualità che appartengono alla persona in quanto fluiscono dalla sua essenza, ma che non necessariamente accompagnano fin dall’inizio l’esistenza della persona: la capacità di darsi dei fini, di mettere in atto i mezzi necessari per conseguirli, di controllare il “gioco” fra fini e mezzi.
Un individuo può essere ad un tempo persona in atto e personalità in potenza.
Non si diventa persona, lo si è, in toto, fin dall’inizio, una volta per sempre. Secondo la fede dalla quale è nata questa antropologia, il divenire persona come evento istantaneo corrisponde all’animazione spirituale o infusione dell’anima intellettiva nel feto concepito a un uomo e una donna.
La personalità invece è qualcosa che si acquista processualmente, attraverso l’effettuazione di atti personali (secondi).

Ma… lui?

Ma lui,… anche lui è persona? Al pari degli illustri signori che abbiamo messo in fila qui sopra? Lui, Roberto, è persona come l’eterea principessa egiziana? Come il filosofo pensoso di se stesso e del mondo? Roberto è persona come il condottiero asciutto e deciso, dedito a fare il deserto per poi chiamarlo pace? Persona come il serenissimo Duca di Montefeltro? Roberto è persona al pari di Alberto (Einstein)? Al pari di Wolfgang Amadeus (Mozart)?
Sì, assolutamente sì. Anche se un’asfissia prenatale, unitamente a diverse altre cardiopatie e bronco ectasie, gli ha notevolmente compromesso il controllo della mente e del corpo. Roberto è persona, a tutto tondo, tanto quanto tutte le altre persone che galleggiano sulla crosta terrestre; e se lui non è persona, nessun altro lo è. Ricordate il film La strada del primo Fellini (1954)? Il fantasioso acrobata soprannominato “Il matto”, prima che Zampanò l’ammazzi, cerca di far capire alla spiritata Gelsomina che ogni cosa al mondo è utile, ogni cosa ha un suo posto, e lo fa con un sassolino in mano: “Se questo sassolino non ha una suo posto nel mondo, non ce l’ha nessuno …”.
La qualifica di “persona” è un assoluto che compete a tutti gli uomini per il solo fatto di essere uomini, non tollera un più e un meno, nessuno è “più persona” di un altro. Sono moltissimi quelli che condividono questa affermazioni, in linea di principio; per loro la dignità di persona è come il cavalierato: non lo si nega a nessuno.
Ma il problema non è quello di proclamare la dignità della persona, ma quello di trattare anche lui da persona”, sempre, prima che da soggetto problematico. In comunità ci proviamo. Ogni giorno.

Pluralisti

Per quanto riguarda la vision della CdCdU, va riconosciuta a tutti i comunitari la possibilità di dare una propria lettura di quell’antropologia.
Questo fa della CdCdU una COMUNITÀ PLURALISTA: al suo interno hanno diritto di cittadinanza tutte le visioni della vita si risolvano in lieto annuncio per i poveri, che proclamino la liberazione dei prigionieri, che promettano la vista ai ciechi, che spezzino le catene dell’oppressione: in un parola,tutti coloro che esaltano la dignità dell’uomo, anche e soprattutto se emarginato: così Gesù stesso riassunse la sua antropologia nel discorso che fece ella sinagoga di a Nazareth e che per poco non gli costò la pelle: Luca, cap.4.

Pluralisti in positivo

Ma la Comunità rifiuta il pluralismo in negativo, il puro rispetto delle idee altrui, un atteggiamento difensivo che non sfocia nel confronto, che riduce la tolleranza ad indifferenza, il relativismo assoluto che rende tutto uguale al contrario di tutto, e di conseguenza nulla vale più nulla.
Il pluralismo comunitario è un PLURALISMO IN POSITIVO, centrato sulla persona umana come soggetto e fine di tutto e sulla vita intesa come dono.
Questo vuol dire che nella vision della CdCdU nessun messaggio ideale ha a priori il monopolio, nessuna fede può rivendicare la primogenitura, ma tutte le idee sono chiamate a confrontarsi nella loro capacità di produrre vita.

LA VISION DELLA COMUNITÀ SUL PIANO CULTURALE

Per “cultura” intendiamo IL MODELLO DI AUTO COLTIVAZIONE che ogni uomo adotta, l’insieme dei fini che un uomo si dà e degli strumenti che mette in atto per “coltivare se stesso”.

I valori culturali fondanti

In questa vision I VALORI FONDAMENTALI DELLA VITA sono LA COMUNIONE E LA LIBERTÀ;
• siamo su questo mondo per costruire un’unica, grande famiglia di persone generose e profonde;
• l’uomo è al tempo stesso una realtà e un progetto: è quello che è e diventa quello che è;
• l’uomo vale per quello che è e non per quello che possiede o che produce;
• la persona non è riducibile ai suoi comportamenti, ma li trascende;
• la dignità umana non è quantificabile, nessuno è “più uomo” di un altro;
• la diversità nasce sul piano della personalità, capacità di scegliersi dei fini e di attivare mezzi proporzionati a conseguirli.

Nelle vision della CdCdU per coltivare in pienezza la propria umanità ogni uomo deve sapere
• che la sua realizzazione passa necessariamente per l’altro;
• che la vita autentica è un bene che cresce nelle misura in cui viene donata agli altri.

Chi vive in quotidiano contatto con soggetti minorati deve sapere
• che la vita è tanto più autentica quanto più le costa fatica affermarsi;
• che dalla condizione dell’emarginato emergono stimoli potenti e originali per cogliere il succo vero della vita.

I maestri

EMMANUEL MOUNIER
Morto nel 1950 a soli 45 anni, fondatore della rivista Èsprit, Mounier costruisce il suo progetto di uomo (il PERSONALISMO COMUNITARIO) sulla centralità della persona come valore assoluto della psicologia e soprattutto della politica. In psicologia la persona è tensione inesausta verso un avvenire sempre migliore, realizzato in comunione con tutte le altre persone. In politica la persona, come valore in/finito realizzato nella pluralità delle singole persone, chiede di venire assunta come epicentro della ricerca del bene comune, contro ogni riduzione della politica a burocrazia (tecnicismo), a ideologia staccata dalla realtà (marxismo), a primato del più forte come presunta garanzia del bene di tutti (liberalismo).

EMMANUEL LÉVINAS
Lituano d’origine ma parigino d’adozione, (+ 1995, a 90 anni) Lévinas vede nell’etica la prima forma di filosofia, e vede nell’etica dell’altro la prima forma di etica. La persona è persona nella misura in cui è responsabilità per l’Altro. Tutta la vita umana si gioca nell’incontro con l’Altro, fenomeno privilegiato nel quale la prossimità dell’altra persona e la distanza rispetto ad essa sono entrambe fortemente sentite. Nell’incontro con l’altro il primo desiderio, istintivo, è quello di ucciderlo. Ma la rivelazione del Volto dell’Altro impedisce di farlo, e ogni uomo non può non riconoscere, istantaneamente, l’inviolabilità assoluta e l’autonomia intangibile dell’Altro, come suo “insegnante” unico e decisivo per la qualità della propria vita, infinitamente vicino e infinitamente lontano.

ROBERTO MANCINI
Omonimo di un ometto, anche lui marchigiano, che, in cambio di un mucchio di milioni di €, in quel di Manchester insegna a 11 ometti in mutande come infilare il pallone nella porta avversaria, Roberto Mancini, cinquantenne, insegna Filosofia all’Università di Macerata; e rielabora e aggiorna in continuazione, con vivacità e originalità, le eresie del personalismo comunitario. Come questa. L’altra economia è un sogno ad occhi aperti, ma è anche un dovere, … come credere alla primavera. E anche: L’economia si può cambiare, tramite una rivoluzione che conduce dal profitto al dono, dalla proprietà all’affidamento responsabile, dall’accumulazione alla condivisione, dalla competizione alla cooperazione, dall’esclusione all’ospitalità reciproca…

LA VISION DELLA COMUNITÀ SUL PIANO POLITICO

Sono in tanti quelli che dicono che la politica è una cosa sporca. E hanno ragione. Negli anni a cavallo tra il II e il III millennio da sporca la politica italiana è diventata putrida. Sporca, putrida, ma … INDISPENSABILE: gran parte dei nostri problemi, oggi, ho hanno una risposta politica o non hanno nessuna risposta.

I valori politici fondanti

Sul piano della politica generale tre sono le istanze di base.
• L’individuazione del bene comune è affidata a gruppi minoritari che, possedendo tutto il potere economico e mediatico, manovrano quella larga, a volte larghissima parte di opinione pubblica che si lascia manovrare e che garantisce la maggioranza in Parlamento. Nella nostra visione della politica il bene comune va invece individuato tutti insieme e perseguito coinvolgendo tutti; le grandi parole della tradizione democratica (giustizia, pace, partecipazione, ecc.) vanno ogni giorno riempite di significati nuovi, per evitare che diventino slogans vuoti.
• La socialità. “Operare nel sociale” vuol dire, sul piano generale, proporsi l’obiettivo che la società sia quello che deve essere: un corpo unico e armonico; in cui ci sia posto per tutti, e nessuno sia escluso, e ognuno abbia un suo spazio personale e una sua funzione in ordine al bene comune. A ciascuno va garantito tutto il benessere possibile. Le diversità sono una ricchezza. La prevaricazione dei più fortunati sui meno fortunati non è ammessa. Anche chi dispone di ridotte capacità fisiche o psichiche ha una sua utilità, un suo compito. Tutto questo chiamiamo “socialità”. Così intesa la socialità, non può essere ridotta ad un accessorio, a un’esperienza positiva”, a una “bella pensata”, ma è l’istanza che contribuisce in maniera decisiva a definire sia la convivenza civile che lo Stato. Non esiste Stato che non sia sociale. Lo Stato esiste per difendere i deboli, visto che i forti si difendono da soli. Non esiste stato che non sia sociale; c’è solo un modo per fare giustizia tra gente che vive in situazioni di profonda disuguaglianza: schierarsi dalla parte del più debole.
• L’esigibilità dei diritti. Non ha senso uno Stato che si limita a proclamare di diritti della persona e non si preoccupa di creare le condizione per il loro effettivo esercizio. Era ed è il liberalismo quello che voleva e vuole uno “Stato/carabiniere”, leggi e istituzioni che in campo sociale si limitasse a proclamare i diritti dell’uomo e del cittadino e ad impedirne la violazione, intervenendo solo quando gli attori sociali litigavano fra di loro; lo Stato sociale afferma invece che esistono specifici diritti sociali dei deboli, dovuti al semplice fatto che essi sono deboli, e non possono far valere i propri diritti fanno i forti; e che l’impegno dello Stato è quello di pro-muovere (“spingere in avanti”) i titolari di questi diritti, e di renderli esigibili, e di creare le condizioni e fornire ai meno fortunati gli strumenti (di potere, di cultura,ecc.) per prenderne coscienza e riuscire ad esercitarli.

Sul piano delle politiche contro l’emarginazione, lo Stato deve mettere a punto, sulla base del principio di solidarietà, e dettare le regole generali che ne garantiscano l’attuazione, e successivamente controllare che vegano rispettate; poi però, come stabilisce il principio di sussidiarietà, deve affidarsi alle forze sociali che sono più vicine al problema, sostenerle, valorizzarle. Ad esempio, nel settore dell’handicap vanno valorizzate comunità come la CdCdU, nella quale l’handicappato non è mai un assistito puro e semplice, ma un protagonista che è chiamato a realizzare la propria e l’altrui liberazione, e sul piano giuridico può anche diventare presidente della comunità: i tre primi presidenti che si sono succeduti alla guida della CdCdU da quando (nel 1984) essa ha preso forma giuridica sono stati tre soggetti invalidi.

Don Sirio Politi

Il domenicano P. Gustavo Gutièrrez

Leonardo Boff

Frei Betto

Monsignor Oscar Arnulfo Romero

I maestri: la teologia della liberazione

In politica la CdCdU “guarda a sinistra” (come diceva De Gasperi della sua Democrazia Cristiana), per il semplice fatto che a destra (cioè nel liberalismo puro: Adam Smith) la “scelta privilegiata dei poveri” è in tutto e per tutto un non/senso.

Il Vangelo come liberazione. La sua natura di “Utopia di ispirazione cristiana” spinge la CdCdU a leggere il Vangelo come liberazione integrale dell’uomo. E questo non è più una nostra “bella pensata” da quando il CELAM (CONFERENCIA EPISCOPAL LATINO/ AMERICANA) ha solennemente proclamato a Medellin (Colombia) nel 1969, alla presenza di Paolo VI. Dottrina ribadita nel 1979, a Puebla (Messico) dallo stesso CELAM alla presenza di Giovani Paolo II. Erano gli anni segnati dalla grandiosa rivolta dei giovani contro l’ingiustizia che domina nel mondo, sulla base di una crescente coscienza dell’oppressione che si è auto legittimata nelle leggi che a mano a mano gli Stati si sono date,; la concezione utopica della vita ispirata al Vangelo non può non denunciare e combattere la prevaricazione dell’uomo sull’uomo, sia quando in alcuni Stati si appoggia ancora al marxismo, sia soprattutto quando in tutto il resto del mondo chiede la sua copertura ideologica al liberismo più sfrenato.

I precedenti. La TdL ha i suoi precedenti in Francia con i PRETI OPERAI e in Brasile con le COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE (CEB).

In Francia, nel 1950, il libro di don Godin, Francia: terra di missione? nota che la Francia non ha più nulla di cattolico; e il Card. Suhard, arcivescovo di Parigi, fonda la Missione di Francia, permettendo ad alcuni preti di andare a lavorare nelle fabbriche per avvicinarsi al mondo operaio. Fu così che il dotto domenicano Jacques Loew lavorò a lungo come scaricatore di porto, don Favreau morì in un incidente sul lavoro.
In Italia, il primo e più noto è don Sirio Politi, che pubblica il suo diario di vita in fabbrica, dal titolo “Uno di loro”.
La Santa Sede accusa l’esperienza dei preti operai di essere pericolosa per l’integrità della fede e della testimonianza cristiana; nel 1954 Pio XII ordina a tutti i preti operai di tornare alla loro precedente opera pastorale, accanto, non dentro le fabbriche. Molti abbandonano il ministero, in rottura con la decisioni del Vaticano. Riabilitati dopo il Concilio Vaticano II, nel 1965, la loro proposta ormai è come esausta.
Ma l’impatto di quella generosa esperienza sulla teologia rimane.

In Brasile, mentre si stava concludendo il Concilio Vaticano II, prese forma il Primer Plan Pastoral Nacional (1965-1970) centrato sulle Comunità Ecclesiali di Base (CEB): piccole comunità prevalentemente cattoliche, impregnate di dottrina conciliare, che riscoprono la Parola di Dio, fondamento della Chiesa come popolo e come forza impegnata nella liberazione degli oppressi, e su questa base prima analizzano la propria realtà sociale e religiosa, con spirito di fede e sguardo rivolto alla realtà sociale, poi rivendicano i diritti degli ultimi dovunque essi siano conculcati e promuovono al tempo stesso il miglioramento delle condizioni di vita e la crescita di una matura consapevolezza della situazione sociale e politica in cui la gente vive. Benedette dal CELAM di Medellín (1968) e di Puebla (1979), saldamente radicate nella spiritualità dell’Esodo e nella posizione antifarisaica Gesù, malviste a Roma (sono spesso dirette solo da laici; leggono l a Bibbia in base al carisma personale, senza tenere conto della lettura che ne dà la Chiesa; operano fuori da ogni forma tradizionali di pastorale; usano gli schemi delle scienze sociali per analizzare la Chiesa, hanno abbandonato del tutto la visione filosofica che informa tutta la teologia autenticamente cattolica, surrogandola con la filosofia di Marx; mettono in discussione alcuni dei dogmi fondamentali del Cristianesimo), vengono emarginate dalla crescita del Rinnovamento Carismatico cattolico.

La teologia della Liberazione: il contesto 
La TdL nacque nel contesto storico del diffondersi delle dittature militari e dei regimi repressivi della metà del sec. XX; nel 1968, a Medellin (Colombia) i vescovi sudamericani riniti nel CELAM (Conferenza Episcopale Latino Americana) si schierarono al fianco della lotta delle popolazioni più diseredate, proponendosi come “chiesa popolare”, socialmente attiva.
Nacquero le CEB (Comunità Ecclesiali di Base, impegnate a vivere una fede attivamente impegnata sulla frontiera dei problemi sociali: circa 100.000 solo in Brasile, sotto l’impulso del cardinale di San Paolo Paulo Evaristo Arns e del vescovo di Recife Helder Camara.
In Nicaragua i cattolici capeggiarono la lotta armata contro la dittatura di Somoza; poi furono diversi i sacerdoti, come Ernesto Cardenal e Miguel D’Escoto, che entrarono a far parte del governo sandinista. E nessuno di noi ha dimenticato lo sconcerto per il gesto di rimprovero che, davanti alle TV di tutto il mondo, Giovanni Paolo II riservò al gesuita P. Ernesto Cardenal: l’indice della mano destra del Papa oscillò a lungo, come quello di un papà che avesse sorpreso il figlioletto a rubare la marmellata, sulla chioma candida del Padre gesuita che, da Ministro dell’Istruzione, aveva promosso in Nicaragua un’alfabetizzazione che aveva del prodigioso.
La successiva assemblea CELAM, nel 1979, a Puebla (Messico), alla presenza di Giovanni Paolo II, da una parte riaffermò i principi di Medellín, ma dall’altra denunciò un’eccessiva vicinanza, quasi una sudditanza della TdL alle tesi del marxismo; una giudizio che ispirò la linea della Santa Sede negli anni 80: i protagonisti della TdL furono tutti allontanati dai vertici della gerarchia.

La Teologia della Liberazione: radici ed elementi essenziali. La tematica della liberazione affonda le sue radici nel Concilio Vaticano II. Al suo interno il Gruppo del Collegio Belga, formato d vescovi e teologi che stanno elaborando la redazione della IV Costituzione Conciliare Gaudium et Spes, sui rapporti fra Chiesa e mondo moderno, discute il cosiddetto “Schema XIII”, centrato sulla povertà della Chiesa e sulla sua solidarietà con le situazioni di oppressione in tutto il cosiddetto “Terzo Mondo”.
Lo schema XIII non verrà mai approvato, ma il suo contenuto è quello del libro I poveri, Gesù e la Chiesa, pubblicato nel 1963 da Paul Gauthier, prete e falegname a Nazareth, che con tanta amarezza lascerà la Chiesa morendo ai suoi margini senza rinunciare al suo impossibile sogno.

Ma il libro di Gauthier ha una grande successo in America Latina, dove GUSTAVO GUTIÈRREZ nel 1971 lo prende come modello per il suo TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE. Gutiérrez sostiene che nel cristianesimo l’autentica nozione di povertà cristiana ha una duplice faccia: è un atto di solidarietà amorevole con i poveri, è radicale protesta liberatrice contro la povertà; e questo per la Chiesa comporta un impegno istituzionale per la liberazione dalla povertà nelle sue cause immediate, di squilibrio e di ingiustizia, per la liberazione umana, cioè l’emancipazione dei poveri, degli emarginati, degli oppressi da tutto “ciò che limita la loro capacità di sviluppare se stessi liberamente e dignitosamente”, per la liberazione teologica, cioè la liberazione dall’egoismo e dal peccato, per il ristabilimento della relazione con Dio e con ogni essere umano.
Tutto questo è conseguenza della presa di coscienza della realtà socioeconomica del grande continente latinoamericano: laggiù la situazione della maggioranza contraddice il disegno divino, perché la povertà è un peccato sociale; e la salvezza cristiana è “liberazione integrale”, anche economica, anche politica, anche sociale.
Il cristiano, tramite una costante riflessione, prende coscienza della forte disuguaglianza sociale tra società opulente e popoli votati alla miseria, ponendosi al fianco dei poveri, che sono le membra sofferenti del corpo crocifisso di Cristo. E questo non fa del cristianesimo una filosofia classista e rivoluzionaria: la rivoluzione del vangelo è l’amore, non la lotta.
La giustizia sociale è sorella della carità.
Creare un uomo nuovo, come condizione indispensabile per assicurare il successo delle trasformazioni sociali.
Pensare l’uomo solidale e creativo come motore dell’attività umana, in contrapposizione alla mentalità capitalista della speculazione e della logica del profitto che ne fa un burattino ubbidiente (dirà don Milani).
Fare dell’accettazione della dottrina evangelica una scelta assolutamente libera, contrariamente al passato, in cui le missioni cristiane sfamavano le persone a patto che si dichiarassero cristiane.

La condanna e la riscoperta da parte della Santa Sede. Sulla scia di quanto aveva detto Giovanni Paolo II a Puebla, la concezione di Cristo come una figura politica, un grande rivoluzionario, non è compatibile con gli insegnamenti delle Chiesa; su questa falsariga , la Congregazione per la dottrina della fede ( l’ex Santo Uffizio), presieduta dal Card. Ratzinger, pressata dai settori conservatori della Chiesa e soprattutto dall’Opus Dei, emanò due documenti sulla Teologia della Liberazione: Libertatis Nuntius (1984) e Libertatis Conscientia (1986); ambedue si denunciava la tendenza delle TdL ad accettare postulati marxisti e di altre ideologie politiche, postulati non compatibili con la dottrina sociale della Chiesa, specialmente nell’assunto che la redenzione vera fosse il riscatto sociale dei poveri.
Condanna e riscoperta: quando monsignor Oscar Romero chiese l’appoggio della Santa Sede alla sua azione pastorale, Giovanni Paolo II glielo negò, ma lo stesso Papa, in una lettera rivolta alla Conferenza Episcopale Brasiliana, ha riconosciuto che la Teologia della Liberazione ha avuto un ruolo buono, utile e necessario per la difesa dei poveri; non solo, ma nel suo magistero sociale (Centesimus annus), Papa Wojtyla assume la tematica della liberazione come compito della Chiesa del nostro tempo.
Nel 1993, in un fortissimo documento della Pontificia Commissione Biblica, intitolato L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, l’approccio ermeneutico della TdL nella lettura delle Sacre Scritture venne riconosciuto importante per una comprensione più adeguata del Vangelo; come ogni altro approccio “contestuale”: quello proposto dalle femministe, ad esempio.
Ma nel 2006 una Notificazione di Benedetto XVI condanna Jon Sobrino, gesuita basco emigrato ad El Salvador; i due libri di Sbrino (Jesucristo libertador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret, 1991) e La fe en Jesucristo, ensayo desde las víctimas, 1999”) hanno avuto grande diffusione in America Latina e non solo; il riferimento costane di questi due libri è la vicenda della strage di gesuiti cultori della TdL, ordinata dal Governo di El Salvador nel novembre del 1989; vennero trucidati con Ignacio Ellacuría,, uno dei più grandi ed equilibrati cultori della TdL, altri cinque suoi confratelli, e anche la cuoca e sua figlia, affinché non rimanessero testimonianze del delitto. La condanna è motivata dal fatto di aver adottato
” tesi erronee e pericolose”, tutte riferibili al fatto di aver eletto “i poveri a luogo teologico fondamentale” – cioè a principale fonte di conoscenza teologica –, mentre per i cattolici l’unico luogo teologico fondamentale è la “fede apostolica trasmessa attraverso la Chiesa a tutte le generazioni”.

La Teologia della Liberazione: oggi. Anche se fuori dalla Chiesa, in quanto per adesso non giuridicamente inquadrata, la TdL coltiva l’anima dell’antropologia della Chiesa Cattolica, che è la beatitudine dei poveri e la coniuga con la trasformazione sociale e politica. La frontiera del suo impegno si allarga: interdipendenza tra la solidarietà interumana e solidarietà con la natura; contestazione del neoliberismo: ricerca della giustizia come unico fondamento della pace; richiesta di una reale partecipazione dei laici e delle donne alla vita e alla guida della Chiesa; decentramento del potere/servizio ecclesiale; incremento dell’inculturazione del Vangelo nelle Chiese locali, ecumenismo allargato alle grandi religioni mondiali (macroecumenismo).
Ma oggi tra i cattolici di tutto questo quasi non se ne parla più. Eccezione: la rivista Nigrizia, eccezione molto parziale da quando Alex Zanotelli è stato messo da parte; in tutti vince la “prudenza” che mette la sordina ai drammi dell’umanità.
Ne parla a volte l’estrema sinistra, ad esempio Brianza Popolare, che nel marzo del 2010 ripropone un saggio di Viviana Vivarelli, del 2006, e ci fa capire che, liquidando sbrigativamente i testimoni della TdL, con l’acqua sporca abbiamo buttato via anche il bambino; perché ce n’è, di acqua sporca, nel loro pensiero; ma ci sono anche intuizioni formidabili e provocazioni che, liberate da impostazioni troppo passionali, risultano fortemente stimolanti

Una disubbidienza che si traveste da ubbidienza. Anche se la TdL non risulta ancor tra gli insegnamenti ufficiali delle Università Pontificie, Il concetto di liberazione integrale è ormai entrato tra i capisaldi del Magistero, ne parlano
• il Catechismo della Chiesa Cattolica del Card. Ratzinger,
• La verità vi farà liberi, catechismo per gli adulti della CEI,
• il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del Card. Renato Martino.
Il Magistero ha ritenuto doveroso CORREGGERE certe potenziali linee di sviluppo della TdL; su questa base una legione di cattolici medio/mediocri a volte manovrati, magari inconsciamente, dai titolari di certi interessi inconfessabili, vuole non correggere, ma CANCELLARE la TdL: un obiettivo mediocre per una Chiesa socialmente giù di tono.
Da noi, a Gubbio, uno dei nostri preti migliori, don Leonardo Giannelli, un fidei donum (così si chiamano i preti “prestati” dalle diocesi italiane di antico conio alle giovani chiese del Terzo Mondo), che ha lavorato a lungo e molto bene in Perù e ora lavora da anni e molto bene in Bolivia, della TdL ha detto (in spagnolo) che FRACASÒ, “è rovinosamente crollata”. E così i numerosi e generosissimi giovani eugubini che sono andati ad aiutarlo in Perù e vanno ad aiutarlo in Bolivia, e si sono fermati anche mesi o anni, fra l’altro distribuiscono ai suoi poveri le vettovaglie che periodicamente vengono inviate laggiù da Gubbio, e fanno quello che don Leo chiede loro per portare avanti questo o quell’obiettivo pastorale, ma non hanno acquisito la benché minima coscienza politica del problema della povertà dei popoli del terzo mondo; sembra che nemmeno sospettino che la fame che essi placano per qualche tempo sia oggettivamente voluta dai popoli “cristiani e civilizzati” ai quali essi appartengono.
Quattro secoli fa S. Vincenzo de’ Paoli diceva alla sue suore: Quando dai gratis una minestra a un povero, ricordati prima di chiedergli scusa. Scusa a nome di quel mondo ingiusto che lo obbliga a chiedere l’elemosina. Quattro secoli fa: oggi ci appare estremamente significativa la parabola dell’Operazione Mato Grosso, che trenta anni fa ( con don Pasetto) si era talmente politicizzata da assomigliare tremendamente ad una filiale di Lotta Continua, ma oggi (con don Ugo Censi) ignora la politica più di quanto Facciamo i gruppi più slavati delle Dame della S. Vincenzo

I massimi esponenti della TdL

Qui sotto riportiamo dei brani di due dei massimi teorici della TdL. Sono testi acri, forti, critici, a volte ipercritici, a volte ingiusti nei confronti della Chiesa.
Ma quanta ricchezza! Che differenza con tanta letteratura “religiosa”, sciatta, inutile, disincantata, volgarmente “devota”. Ognuno di noi farà un’opera di selezione e di equiLIbratura.
Ma senza dimenticare che a quelle affermazioni si allinea, in via di massima, la vicenda che, in calce ai due brani, riportiamo per esteso, quella di Mons. Romero

LEONARDO BOFF
Leonardo Boff è un Francescano ridotto allo stato laicale. Secondo lui il potere è la tentazione più grande per l’essere umano, perché ci dà la sensazione dell’onnipotenza divina. Il potere è pura forza, ed essendo solo forza, è distruttivo. Solo la compassione limita il potere, facendo sì che sia benefico. Compassione e forza sono le due dimensioni fondamentali che costruisco-no l’essere umano ben realizzato.
Boff scriveva queste cose nel 1993, in Brasile. Erano i giorni in cui i bambini di strada; i meniños de rua che giravano per le strade rubacchiando, venivano impunemente uccisi a centinaia, sia dalla polizia militare che dai vigilantes. A Rio de Janeiro ne avevano già macellati 321. In quell’anno la polizia avrebbe ucciso in tutto 1370 persone.
E si parlava, niente meno!, di ritorno della democrazia. Una beffa per i poveri e i bambini erano i più poveri dei poveri, vivevano in uno stato selvaggio come bestioline in una giungla, dormivano nelle fogne, fiutavano colla, sopravvivevano come potevano. In piazza Candelaria la polizia ne uccise otto tutti insieme, mentre dormivano in strada.
I sacerdoti più vicini a quei bambini e ai loro familiari erano in preda alla disperazione.
Per loro era sempre più difficile vivere nella Chiesa, connivente con il potere assassino e con l’alta finanza che spingeva il potere ad uccidere e la politica che metteva il coperchio su tutto. La scelta obbligata era quella di stare vicino al Cristo vivente che soffre nel povero e lottare contro il potere che avvilisce l’uomo, che lo riduce alla miseria morale, che lo uccide.
Se scegli la prima via, quella del silenzio e della connivenza, puoi fare carriera e avere una vita piena di soddisfazioni.
Se scegli la seconda via, la Chiesa ti chiamerà marxista e ti rigetterà. Perché i vertici della Chiesa non sono in mano ai poveri nè a chi lotta con i poveri, ma sono in mano ai potenti e a chi tratta con i potenti.
Ai poveri è rilasciato il fanatismo delle piazze plaudenti.
La Teologia della Liberazione è nata sulla strada del Cristo dimenticato, non su quella della Chiesa trionfante. Non si diffuse nei luoghi del potere ecclesiale ma delle Comunità di Base, che erano fatte da poveri. Decisiva fu l’ispirazione di preti colti, intelligenti, intellettuali ma sensibili, che sanguinavano del sangue dei poveri, e soffrivano della sofferenza dei poveri, e vedevano in loro il sangue e la sofferenza del Cristo. In Brasile i poveri sono 80 milioni su 150 milioni di abitanti, e più che poveri sono “miserabili”.
Dice Minà, i brasiliani poveri hanno due sole cose: la fede e la festa. È vero: In America Latina non si va da nessuna parte se non si passa per la fede e per la festa. Nessun partito comunista ha portato a termine una rivoluzione in America latina perché ha dimenticato queste due vie.
Su questa duplice strada il Cristianesimo ha incontrato il Marxismo. Il marxismo offriva la critica al potere economico che asservisce i poveri, ma il cristianesimo offriva la fede. Dimensione politica e dimensione religiosa potevano unirsi? La TdL disse di sì.
Il marxismo da una parte gli offriva un buono schema razionale, positivo, semplice, che permetteva di comprendere la logica del potere, ma d’altra parte, riducendo l’uomo a materia, non riusciva a integrare le altre dimensioni dell’umano: perché l’uomo non è solo sensi e ragione, l’uomo è ideale e anima. Il marxismo ha dimenticato anche la dimensione intuitiva e artistica dell’uomo, l’arte, la bellezza, il gioco. La ragione e il corpo non esauriscono l’essere umano. Ci sono facoltà umane che portano l’uomo ancora più in alto, cosicché anche il corpo e anche la sessualità possano farsi strada per il divino.
Se il Marxismo è rimasto al primo livello umano, quello inferiore, la Chiesa ha ripudiato il corpo e la sessualità per rifugiarsi in un limbo di astrazione.
Ma l’uomo vuole essere completo, di corpo, sensi, sessualità, ragione, intuizione e anima. La via verso la completezza deve attraversare tutto l’uomo e rendergli tutta la sua natura, nella sua interezza, come Dio ha voluto…
La Russia socialista ereditò la struttura dalla Russia zarista, la Chiesa di Roma ereditò la struttura della Roma imperiale. Ed entrambe non furono democratiche e repressero duramente ogni anelito popolare. Diciamo questo con più forza oggi, con negli occhi la Russia assolutistica di Putin (che ha fuso il peggio dello zarismo e del capitalismo) e guardando al pontificato autoritario di Wojtyla, e lo diciamo a maggior ragione oggi, di fronte a governi che da destra e da sinistra hanno questa pericolosa tendenza o tentazione a rafforzare gli elementi autoritari del potere, ignorando le istanze popolari…
Nessun paese socialista ha portato la classe maggioritaria per numero al potere. Nessuna gerarchia ecclesiale ha difeso dall’alto gli umili in modo concreto e non verbalistico. Nessun Papa si è privato dei beni della Chiesa per sollevare i poveri del mondo. Nessun governo socialista ha aumentato i poteri politici dei suoi cittadini. Ci sono solo due classi al mondo: chi ha il potere e chi non ce l’ha. E questo vale per il marxismo storico come per la chiesa storica. Vale nei fatti, perché i fatti hanno dimostrato che è stato così.
La storia non cammina per realizzare il socialismo, come crede il materialismo dialettico. La storia cammina solo se ci sono soggetti che hanno la capacità di cambiare le cose. In fondo sia il marxismo che la Chiesa hanno usato le masse, non le hanno mai riconosciute come titolari di diritti, non hanno mai dato loro il diritto storico di cambiare le impostazioni della morale, dell’economia, della politica…
Minà dice: “Il capitalismo ha avuto la saggezza di privatizzare i beni materiali e socializzare i sogni. Se io sono un povero, vivo in una piccola casa, in una favela, però nella mia televisione posso vedere Hollywood, sognare la possibilità di vincere alla lotteria, per sorte o per trucco, o aiutato magari dalla magia… Posso insomma fruire di certe meraviglie. Il socialismo ha fatto il contrario: ha socializzato i beni materiali e privatizzato i beni simbolici. Nessuno ha diritto di sognare, solo il partito ha il diritto di farlo.
Ma spesso erano sogni pericolosi. Quando la gente sogna, bisogna invece calarsi nella sua realtà e cercare alternative per le sue speranze.”

FREI BETTO
Frei Betto (Carlos Alberto Libanio Christo), domenicano, sociologo scrittore. Fra i suoi libri: “La musica nel cuore di un bambino”, “Uomo fra gli uomini”, “Battesimo di sangue”, “Gli Dei non hanno salvato l’America”). È stato consigliere personale di Lula all’inizio del suo mandato.
La sua dottrina sociale propone la globalizzazione della solidarietà in questo sistema che fa della concorrenza il suo valore supremo. Ora che lei riposa in pace, la chiesa si agita per scegliere il suo successore. Prevedo che sarà una scelta difficile. Gli italiani vorranno riprendere il monopolio del papato, che lei ha rotto nel 1978, dopo cinquecento anni. Però molti sanno che la chiesa ha bisogno di abbandonare il suo euro-centrismo se vuole evangelizzare i mondi africano e asiatico. Un papa nero o dagli occhi a mandorla costituirebbe un segnale forte di cambiamento di rotta. Quali sfide attendono il nuovo pontefice? Primo, conquistare quell’empatia che lei aveva con i media e il pubblico. E com’è malumorata e arcigna, invece, la maggior parte dei cardinali! Poi, aprire il dibattito interno sulla morale sessuale, le relazioni di genere, il celibato obbligatorio e il ruolo della donna. Se il valore supremo è l’amore, perché la chiesa considera ancor oggi la procreazione la finalità primordiale del matrimonio? E chi convincerà i giovani a evitare l’Aids con l’astinenza sessuale? Nel mondo c’è una profonda fame di Dio. Le persone chiedono più spiritualità, profondità, etica, solidarietà.
Vogliono una pace che sia figlia della giustizia. In questo la chiesa giuoca un ruolo preponderante. Speriamo che il nuovo papa sia come Gesù, che ha annunciato a tutti il Dio della vita e dell’amore a partire dal suo impegno con i più poveri. Fuori dai poveri non c’è salvezza per la chiesa.

MONSIGNOR OSCAR ARNULFO ROMERO 
Nato nel 1917 San Salvador, piccolo paese del Centro America, da una famiglia campesi-na, entra da bambino in seminario; ventenne, è a Roma per studiare teologia presso la famosa Università Gregoriana. Torna e fa il bravo prete, finché,nel 1970, viene nominato vescovo ausiliare di San Salvador; è stato il Nunzio Apostolico Mons. Prigione a volerlo a fianco dell’Arcivescovo Luis Chàvez y Gonzàlez, uno dei protagonisti del CELAM a Medellín nel1968: conservatore sul piano generale, ossequiente a Roma, timoroso di fronte ala TdL, stimato dall’oligarchia del suo Paese, il Vescovo Ausiliare Oscar Arnulfo Romero è lì per aiutare il suo arcivescovo a darsi una calmata e più ancora per arginare i danni che -dicono a Roma- stanno facendo i gesuiti che, guidati da P. Ellacurìa, reggono l’Università Centroamericana di San Salvador. Ma il giovane prelato conservatore comincia a scoprire la realtà della povertà e dell’oppressione.
Nel 1974 viene nominato vescovo di Santiago de Maria, sempre in El Salvador. È una delle zone più povere del paese, la gente muore di fame mentre i militare, pagati dai latifondisti locali, puniscono duramente ogni accenno di ribellione. Romero sente vacillare le sue convinzioni teologiche e le sue scelte pastorali, e si converte: il mitra “sistema” anche suoi collaboratori e persone e a lui care.
Quando, nel 1977, viene nominato Arcivescovo di San Salvador, è ormai pienamente schierato dalla parte dei poveri. L’oligarchia che lo a sostento lo abbandona, quando Romero rifiuta la costruzione gratuita di un nuovo palazzo vescovile e si riserva un miniappartamento accanto alla sagrestia della cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza, che ricovera malati terminali di cancro. Grazie a una serie di brogli elettorali e di episodi di violenza politica, con il determinante aiuto degli USSA, è al potere un suo omonimo, il generale Carlos H. Romero che impone una pesante repressione sociale e politica. Gli omicidi di poveri contadini e di oppositori al regime sono all’ordine del giorno. I massacri sono compiuti da organizzazioni paramilitari di destra, protette e sostenute dal governo. Il silenzio della Chiesa di Roma appoggia il governo criminale del San Salvador, chiudendo gli occhi sui suoi delitti. Ma un uomo si mette contro il generale Romero, e, stranamente, ha il suo stesso cognome: è Monsignor Romero, arcivescovo.
Un mese dopo la sua presa di possesso canonico dell’arcidiocesi P. Rutilio Grande, un gesuita del quale voleva fare il suo primo collaboratore, viene assassinato; poco dopo, ad Aguilares,per placare una presunta rivolta popolare ammazza più di 200 fedeli nella chiesa parrocchiale.
Romero alza la voce e potenzia la radio diocesana; le sue omelie rendono nota al mondo la situazione di estremo degrado in cui il latifondo e l’esercito hanno precipitato la piccola repubblica. che la guerra civile stava compiendo nel Paese.
La sua popolarità cresce tra i democratici di tutto il mondo e più ancora tra i poveri dell’America Latina.
Ma Roma … nicchia, così come i vescovi di più recente nomina, tutti ostili alla TdL.
Il 24 giugno 1978 Mons. Romero che era stato ricevuto in udienza da Paolo VI, che sarebbe morto poco più di un mese dopo, e ne era uscito triste; ha lasciato al Papa una nota scritta: Lamento, Santo Padre, che nelle osservazioni presentatemi qui in Roma sulla mia condotta pastorale prevale un’interpretazione negativa che coincide esattamente con le potentissime forze che là, nella mia arcidiocesi, cercano di frenare e screditare il mio sforzo apostolico .
Il rapporto con la Curia Romana peggiora con l’elezione di Giovanni Paolo II, che dice di stimare la sua pastorale e la sua fedeltà al Vangelo, ma non lo riceve mai in udienza e teme, a torto, che anche lui sia stato contaminato dai compromessi ideali col marxismo che hanno operato dei preti più radicali, ma non certo lui e tanti altri teologi della liberazione. Quando, nel febbraio del 1980, Lovanio gli conferisce la laurea honoris causa per il suo impegno in favore della liberazione dei poveri, Roma è del tutto assente.
Il 24 marzo 1980, mentre sta celebrando la Messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, viene ucciso da un sicario. Un solo colpo di carabina di precisione, che recise la vena giugulare proprio mentre Romero elevava al cielo l’Ostia Consacrata.
Giovanni Paolo II non presenziò al grandioso funerale, per paura di quello che poi realmente accadde quel giorno: un nuovo massacro di fedeli da parte dell’esercito; inviò un suo delegato, poi però, nel marzo del 1983, resistendo alle enormi pressioni del governo, s’inginocchiò sulla sua tomba e dette inizio al processo della sua canonizzazione.

LA VISION DELLA COMUNITÀ SUL PIANO SPIRITUALE

Per “spiritualità” intendiamo l’assidua coltivazione di quel “respiro” (“Spirito”) che viene da Dio, vibra all’interno di ogni uomo e lo spinge a forme sempre più alte di vita, di verità, di bene. I Cristiani sanno il nome proprio di quel “respiro”: è lo Spirito Santo, la terza Persona della Trinità. E sanno anche qual è il luogo ideale e pratico nel quale la sua spinta interiore va accolta e messa a frutto: la Chiesa la servizio del Regno; e quali sono i mezzi per renderlo operante nella loro vita: l’accoglienza della Parola di Dio, i Sacramenti, la prassi di carità. 
Qui si decide se la Comunità riesce ad essere all’altezza dei suoi magnanimi propositi.
La qualità di un progetto collettivo di alto profilo morale dipende da due cose:
• dalla qualità della struttura che lo supporta;
• dalla qualità dell’impegno che esprimono le persone che lo realizzano.
La struttura/Comunità dal punto di vista umano è egregia. Ci vivesse dentro un Francesco d’Assisi o un Ghandi, sarebbero faville. Ma purtroppo ci viviamo noi, mezze calzette, sempre incerti fra slanci e chiusure. Il giorno in cui le persone che vivono in comunità, indipendentemente dal fatto che siano validi o invalidi, operatori o assistiti, si “convertissero” all’oblatività, alla generosità e alla profondità, la Comunità marcerebbe a mille, altrimenti continua a pestare nello stesso mortaio le povere cose di sempre, i piccoli calcoli, i risentimenti, le stanchezze, il rimpianto per le cipolle d’Egitto …

I valori spirituali fondanti

Una comunità come la nostra può fare a meno della spiritualità, ritenere fumoso e inconcludente il discorso qui sopra delineato? Epicuro nell’antichità e Marx ai nostri giorni hanno ritenuto fumoso e inconcludente ogni discorso di coscienza: la coscienza per Marx è una “sovrastruttura”, una realtà non inutile, ma interamente condizionata dalle concrete condizioni nelle quali si svolge la vita. 
Sintetizziamo quello che abbiamo detto nel libretto di autopresentazione della CdCdU pubblicato dal CESVOL di Perugia.
Il punto di partenza della nostra spiritualità è l’impossibilità di accettare l’emarginazione.
A questo punto i credenti dalla Comunità di Capodarco hanno incontrato l’Eucaristia, nel valore che aveva nei primissimi tempi di vita della Chiesa: clàsis tu artù (κλάσıς του αρτου), vivre equivale a spezzare il pane, spezzare il pane nella profondità del mistero, spezzare il pane nella ferialità della vita; non per nulla i due Discepoli di Emmaus lo riconobbero nell’atto di spezzare il pane.
Ognuno ha la sua parola d’ordine: i Francescani la Povertà, i Domenicani la Sapienza, i Gesuiti la Militanza, i Piccoli Fratelli la Testimonianza, i Neocatecumenali il Cammino, il Rinnovamento lo Spirito, l’Azione Cattolica la Mediazione, Comunione e Liberazione la Presenza. Noi il Pane Spezzato
Nella grande riflessione che facemmo, tutte le comunità di Capodarco insieme, nel 1984, individuammo re valori fondanti: la condivisione, l’accoglienza generosa di chi vuol coinvolgersi con noi e la progettualità quotidianamente rilanciata, sia in ordine alla singola persona, sia in ordine alla presenza della comunità sul territorio, nazionale e locale.
Sulla scia del Cristo condividente: i trenta anni della “vita nascosta” di Gesù a Nazareth: il Figlio eterno di Dio per trent’anni ha condiviso nel silenzio più assoluto la vita dei più umili, poi per tre anni ha spiegato perché aveva condiviso.
IIl plafond della nostra spiritualità, il Dio della Bibbia è un Dio che condivide: nella creazione, nell’Esodo, nell’Incarnazione, nella Croce, che è diventata per eccellenza il simbolo del primato dell’amore gratuito.
Gesù ha chiarito tutto, estremizzando tutto: i>Non sono venuto per farmi servire, ma per servire e dare la mia vita in riscatto per le moltitudini.. Dove “servire” non vuol dir affatto “fare una bella esperienza di volontariato”, ma mettersi dalla parte degli schiavi, che in nulla sono padroni di se stessi; e “dare la vita” vuol dire progettare l’intera esistenza in termini di donazione (Mc.8, 35); e in riscatto vuol dire prendendosi in carico.
Gesù, costantemente circondato da una specie di corte dei miracoli, dove c’è di tutto: … condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori … ; tre gli “scandali” che Gesù dato: quello delle sue umili origini, quello della croce, quello della sua consuetudine abituale con soggetti socialmente e religiosamente emarginati.br>Gesù che dichiara: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. E io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori e nella pagina che fissa nell’accoglienza fattiva di chi si trova in stato di necessità il criterio per valutare se una vita ha avuto più o meno successo. 
La biblista Linemann: secondo Scribi e Farisei i peccati e i vizi non dovrebbero esistere; e quando la loro esistenza si fa innegabile, il primo dovere morale della comunità è quello di ripristinare l’equilibrio dell’ordine disturbato; come? Punendo i peccati, proibendo severamente i vizi, bandendo il peccatore ed evitandolo”; questo vuol dire che quando Gesù non rispetta la divisione fra peccatori e giusti, sedendo tranquillamente a mensa in casa d’un pubblicano, lasciandosi toccare da una prostituta… è come se creasse una falla nella diga che deve proteggere la comunità dallo straripare del peccato.

NNel corso dei secoli la Chiesa a volte è stata molto vicina a questi ideali, a volte se ne è un po’ allontanata, ma mai del tutto. 
Noi vorremmo essere tra coloro che oggi contribuiscono ad attualizzare e potenziare questo insieme di valori. Sulla scia de Los Santos Padres de la Iglesia latinoamericana, a Medellìn nel 1968 e a Puebla nel 1979.

L’emblema della vision della CdCdU sul piano spirituale: quel certo uomo di Samaria

Nel corso dei secoli ci hanno provato in tanti a raffigurarla. Nel cuore delle grandi feste patronali ci provano i “Madonnari”, riservandosi per un giorno un angolo della piazza o della via principale del paese. Un paio di giorni, solo un paio di giorni, ma bastano alla gente semplice a commuoversi pensando a quant’era “buono” quel signore di Samaria. 

Ci ha provato anche Vincent Van Gog, e ne è venuta fuori una scena vibrante, trepidante di commozione. È la cosiddetta Parabola del Buon Samaritano; essa centra e riassume anche la vision della CdCdU. 
Il contesto: Gesù stava invitando i discepoli a predicare la venuta del Regno di Dio. Entrando a piedi pari, uno dei presenti chiese a Gesù come ereditare il regno dei cieli; era un Dottore della legge, dal linguaggio teologicamente ineccepibile: chiede non come meritare la vita eterna, ma come ereditarla: nessuno può meritare i doni di Dio, tanto meno il più prezioso di tutti, la vita eterna. I doni si ricevono, non si meritano.
La risposta di Gesù come sempre sorprende tutti, perché non si limita a rispondere al problema posto, ma lo inquadra in una visione d’insieme che abbraccia tutta la vita, temporale ed eterna, e di quella vita non si limita a insegnare come la si possa accogliere, ma dice che cosa è, in che cosa consiste.
Gesù dice: VIVERE È COMPATIRE. Questo splendido verbo, “compatire”, è stato storpiato dall’uso pietistico che ne è stato fatto. Si compatisce il bambino che la mamma lavoratrice parcheggia nel pomeriggio davanti alla TV. S compatisce il cagnolino la cui zampa è stata lesa da un incidente stradale. “Compatire”: “patire con”, condividere il sentire del prossimo, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, farsi carico del suo soffrire come se fosse nostro.
Questo principio sommo Cristo la incarna in uno che per i suoi ascoltatori è non solo uno straniero, ma un “peccatore” che si porta addosso la scelta peccaminosa della sua Samaria, che ha preteso di adorare Dio non sul monte di Sion, ma sul monte Garizim. Uno che non è particolarmente “buono” (aggettivo che nel vangelo non c’è) ma che davanti a Dio conta ben più dei due religiosi, il sacerdote ed il levita, che dovrebbero essere i rappresentanti ufficiali dell’amore di Dio nella struttura religiosa israelita, e che non si sono fermati, e che non potevano fermarsi, perché se avessero sollevato l’uomo sanguinante sarebbero stati dichiarati impuri dalla loro religione ritualista. Sono uomini di religione, non di fede. L’amore di Dio che essi pretendono di rappresentare è una menzogna, tutta la loro esistenza religiosa è falsa.
La scelta del Samaritano come uomo esemplare è un attacco a fondo alle istituzioni religiose ebraiche, e alla forte contraddizione tra ciò che si predica e ciò che si vive. Vale anche per gli uomini di Chiesa di oggi? Quelli che il Giovedì Santo curano la “Liturgia della lavanda dei piedi” fin nei particolari, con estrema attenzione, ma per e il resto dell’anno se la scordano. 
Il vangelo si testimonia solo con la vita. Non basta predicare, coloro che seguono Cristo devono anche vivere ciò che predicano. Solo i fatti rendono credibili le parole.